(foto LaPresse)

La nostra politica estera è una supercazzola

Guido Vitiello

L'intervento del ministro Di Maio a Pratica di Mare sembra pescato da "Amici Miei"

Dopo aver letto la trascrizione del grammelot di Luigi Di Maio a Pratica di Mare – “se abbiamo potuto comprare all’estero con contratti a prezzo di mercato è stato grazie al fatto che abbiamo potuto avere dai governi dove siamo andati a comprare anche la possibilità di esportare i prodotti che acquistavamo” – ho perso i contatti col “tarapìa tapiòco” e ho deciso che era il momento di mettere a parte il lettore dei miei progressi nella filologia della supercazzola. Questione preliminare: supercazzola o supercazzora? La prima variante è più diffusa, la si trova nei dizionari e si leggeva, per citare un’occorrenza illustre, nella prefazione di Maro Marcellini a un’edizione di “Gnòsi delle fanfole” di Fosco Maraini. Ma la seconda è filologicamente più solida: la attesta il romanzo che gli sceneggiatori Benvenuti, De Bernardi e Pinelli ricavarono da “Amici miei”, dunque una sorta di trascrizione ufficiale. La questione si intreccia a un’altra, relativa alle origini. Ci sono due scuole: una l’attribuisce al cantante palermitano Corrado Lojacono, l’altra al cabarettista Marcello Casco, nativo di Alessandria d’Egitto (e potremmo perciò dirla scuola ermetica). Io però ho scovato una terza fonte, tutta musicale: il clarinettista Henghel Gualdi. Intervistato nel 1984 per un volume sull’Emilia-Romagna, Gualdi rivendicava di aver inventato lo scioglilingua tognazziano – seconda variante, supercazzora – con il compositore Vincenzo Falcomatà negli anni Cinquanta: “Sono parole che ho inventato io. Ci voleva un film perché la gente le scoprisse”. Oggi sono la nostra politica estera.