(foto LaPresse)

La sindrome di Joker

Guido Vitiello

E' quella che si è vista nel caso degli attacchi a Silvia Romano: un capobanda ridanciano che sa dosare il sadismo con maestria, e al suo seguito una corte di risentiti smaniosi di rivalsa

Il dottor Luigi Manconi, decano dell’Istituto di Psicopatologia civile di cui sono un semplice tirocinante, propone di chiamarla sindrome della Gioconda o di Ugo Ungaza Villegas, il turista boliviano che nel 1956, al Louvre, tirò una sassata contro la Monna Lisa. Tre casi recenti – Greta Thunberg, Carola Rackete, Silvia Romano – hanno consentito all’illustre clinico di tracciarne il quadro sintomatologico. Si tratta, in breve, della compulsione a imbrattare e a degradare ogni immagine che sia considerata virtuosa da una parte dell’opinione pubblica, quasi che l’emergere di un esempio di purezza fosse un oltraggio intollerabile, da ricacciare al più presto nella generale lordura. E così, dal sottosuolo dei social network al piano terra-terra dei giornali della destra urlante, parte puntualmente una sassaiola in direzione del santino. Conosco bene l’obiezione. Loro non si sentono vandali, si sentono dandy irriverenti che fanno i baffi alle icone gioconde della correttezza politica, e preferirebbero chiamarla sindrome di Duchamp. Tra il teppista e l’esteta d’avanguardia, del resto, si è scavato un fossato dal tempo dei futuristi e degli squadristi. Io però ho in mente un altro modello. E’ la scena del “Batman” di Tim Burton in cui Joker e i suoi scherani irrompono nel museo di Gotham City e sfigurano con la vernice le opere dei maestri. Così, mi pare, funziona il nuovo potere: un capobanda ridanciano che sa dosare il sadismo con maestria, e al suo seguito una corte di risentiti smaniosi di rivalsa. Propongo perciò di correggere il nome clinico: chiamiamola sindrome di Joker.

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