Tra Foucault e il vaccino, io sceglierei il vaccino

Guido Vitiello

Ho letto la risposta del filosofo Jean-Luc Nancy all’amico Giorgio Agamben, che ha definito il coronavirus "un'epidemia inventata", e ho pensato al dilemma tra l'aria condizionata e il Papa di Woody Allen

Tra l’aria condizionata e il Papa scelgo l’aria condizionata, diceva Woody Allen. Quando, nel 1962, Elémire Zolla si ammalò gravemente ai polmoni, Cristina Campo lo fece visitare dal medico di famiglia e lo costrinse a prendere i farmaci, come si fa con un bambino riottoso. Fosse stato per lui, ha raccontato Attilio Bertolucci, “si sarebbe lasciato morire per tenere ‘fede’ ai dettami della medicina orientale”. L’aneddoto me li ha fatti amare entrambi più di quanto li amassi già: lui, il nemico teneramente donchisciottesco della scienza occidentale; lei, che ne condivide le avversioni ma al dunque, col piglio di una generalessa, lo richiama alla realtà e gli salva la vita. Ci ho ripensato, ieri, leggendo la replica del filosofo Jean-Luc Nancy all’amico Giorgio Agamben, che sul manifesto ha definito il coronavirus “un’epidemia inventata”, una “normale influenza” usata dai governi come pretesto per invocare lo stato d’eccezione. C’è una nota di umorismo involontario: “Quasi trent’anni fa”, racconta Nancy, “i medici hanno giudicato che dovessi sottopormi a un trapianto di cuore. Giorgio fu una delle poche persone che mi consigliò di non ascoltarli. Se avessi seguito il suo consiglio probabilmente sarei morto ben presto”. Nel 2004 Agamben annullò un corso alla New York University perché le condizioni per l’ingresso negli Stati Uniti – la schedatura e il rilascio delle impronte digitali – gli parevano figlie di un nuovo paradigma biopolitico totalitario. Spero che oggi, al primo starnuto, tra un buon vaccino e Foucault scelga il vaccino.