(foto LaPresse)

Dai professionisti agli imperialisti dell'antimafia

Guido Vitiello

Quel che conta è applicare ovunque la legge marziale, seguendo una precisa strategia di annessione semantica

La marcia trionfale dei trojan, che dalla cittadella della mafia e del terrorismo vanno ora alla conquista di altri reati, con il Parlamento che chiama alla ritirata le guarnigioni a presidio del diritto, ci fa capire che non più di professionisti dell’antimafia dobbiamo parlare ormai, ma di imperialisti dell’antimafia. Non è un caso che Gaetano Insolera abbia voluto intitolare il suo nuovo libro “Declino e caduta del diritto penale liberale” (Edizioni ETS), variazione sulla grande opera di Edward Gibbon sull’impero romano. Insolera mostra come procede la guerra di conquista: “Questa la mia tesi: Antimafia è stato il laboratorio che (…) ha visto lo sviluppo di un progressivo spostamento nelle mani del potere giudiziario, con la preminente voce della magistratura requirente, delle strategie di politica criminale e delle conseguenti opzioni pernalistiche”. È lì il confine da difendere, perché tutti gli strumenti che i pm ottengono nella lotta alla mafia, prima o poi potranno usarli anche contro altri reati; ogni misura emergenziale diventa permanente, ogni eccezione regola; e il doppio binario è usato come base d’assalto al binario principale. Così come in guerra accanto alle armi c’è l’information warfare, gli imperialisti dell’antimafia hanno una strategia di annessione semantica, coadiuvati dai giornali embedded: “Antimafia come coperta da stendere su ogni fenomeno criminale che desti allarme sociale”, annota Insolera. Poco importa che poi la parola mafia non significhi più nulla; quel che conta è applicare ovunque la legge marziale.

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