(foto LaPresse)

L'insurrezione circoscritta delle sardine

Guido Vitiello

Avevo sperato che dopo la provvidenziale iridescenza emiliana se ne restassero a lungo sotto il livello del mare. Ma poi hanno preteso di farsi solida istituzione

Disse Kafka a Gustav Janouch: “La rivoluzione evapora e non rimane che il limo di una nuova burocrazia. I ceppi dell’umanità tormentata sono fatti di carta bollata”. Quando l’effervescenza delle piazze accenna a dissolversi nell’aria, quel sedimento inerte di fanghiglia sembra l’unica speranza di conservarne qualcosa. A volte, si dirà, è un salutare passaggio di stato dalla gassosità del movimento alla solidità dell’istituzione. Ma altre volte c’è in ballo di più, una sorta di accanimento faustiano. Non c’è manifestazione fortunata, in Italia, che non aspiri fin dal giorno dopo a perdurare in qualche forma organizzata: è successo anni fa con “Se non ora quando”, succede oggi con le Sardine. Con le piazze piene e la mente ubriaca vorrebbero dire all’attimo “Fermati! Sei così bello”, e subito il notarile Mefistofele esige “due righe di attestato” – i ceppi di carta bollata. Seguono scissioni, comunicati, espulsioni, contese tra capi e altre cose prevedibili una volta che l’abbaglio del flash mob abbia preteso di imprimersi su lastra. Nei primi anni Novanta l’anarchico Hakim Bey aveva teorizzato le T.A.Z., Zone Temporaneamente Autonome, insurrezioni circoscritte che non aspirano – lo dice il nome – a permanere. Tra queste c’erano appunto i flash mob. Ebbene, avevo sperato che dopo la provvidenziale iridescenza emiliana le Sardine se ne restassero a lungo sotto il livello del mare, affiorando qua e là, come fanno i cetacei, con salti e acrobazie. Ma le Sardine non sono cetacei, sono appunto sardine, e le sardine saltano al massimo in padella.

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