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La politica degli aghi della bilancia

Guido Vitiello

Tutte le confuse manovre per occupare il centro e far valere la propria forza elettorale per spostare gli equilibri da una parte o dall'altra hanno un problema: la metafora scelta è sbagliata

Dice Di Maio che sono cambiati i punti cardinali della politica, e che il M5s non ambisce a indicare il nuovo nord o il nuovo est: vuole essere la bussola. Ora, sorvolando sul dettaglio che la bussola serve appunto a indicare il nord, è chiaro che il luogotenente di Casaleggio avesse in mente un altro ago, quello della bilancia. Del resto, il revival craxiano ha fatto tornare di moda la vecchia metafora, e la prospettiva del Germanicum legittima in molti contendenti questo genere di aspirazioni equilibratrici. Si dice per esempio che la soglia di sbarramento, ovunque la si fissi, costringerà Renzi e Berlusconi a contendersi lo stesso elettorato: e chi dei due la spunterà potrà essere l’ago della bilancia dei futuri governi. Ma tutte le confuse manovre per occupare il centro – l’aiuola che ci fa tanto feroci – ad altro non mirano: a guadagnare peso sufficiente per far pendere l’ago di qua o di là. L’errore, tuttavia, è nella metafora. La Prima Repubblica era una bilancia a due piatti, su ciascuno dei quali poggiava saldamente una stretta alleanza politico-sociale, o se vogliamo un blocco di potere, e chi fosse in grado di far inclinare impercettibilmente il braccio guadagnava un enorme credito negoziale. Ma nel caos che si prepara – un sistema proporzionale senza partiti in balia di un elettorato avventuriero – parlare di ago della bilancia è puro delirio. “Tutti i nodi vengono al pettine”, diceva Sciascia, ma precisava: “Quando c'è il pettine”. Oggi tutti gli aghi vengono alla bilancia. Ma non c’è la bilancia.

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