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Come finirebbe "Il Portaborse" oggi?

Guido Vitiello

Forse ci sarebbero Travaglio e Gomez che prendono a mazzate non un’auto di lusso, ma una bara

Dice bene Ugo Intini a proposito di “Hammamet”: “I film anticipano sempre il clima nel paese. Nel 1991 andai a vedere ‘Il Portaborse’ in un cinema vicino a Porta Pinciana con Francesco Rosi. Al termine della proiezione mi insultarono”. Il vicesegretario del Psi Giulio Di Donato lo vide invece al Rivoli, a due passi da Via Veneto, in compagnia di Barbara Palombelli di Repubblica, che documentò minuziosamente le sue reazioni, dallo “Speriamo di vedere un buon film” prima dei titoli di testa al “Viene da vomitare” borbottato a proiezione inoltrata. Del film di Daniele Luchetti, storia di un ministro socialista rampante e corrotto (Nanni Moretti) e del professore di liceo pre-girotondino (Silvio Orlando) che grazie a un giornalista onesto ne svela le trame, Di Donato fu recensore impeccabile: “È un film per bambini, un cartone animato in cui tutto il bene sta da una parte, quella della società civile, e il male dall’altra, nella politica”. Un film, aggiunse, “figlio di un ambiente comunista deluso, presuntuoso e alla fine impotente”, insomma un prodotto del risentimento tardo-berlingueriano. Non per caso finiva con i due onesti che fracassano un’auto di lusso, regalo del ministro, con delle mazze da golf. I film anticipano sempre il clima nel paese, ha ragione Intini, ma il paese ama superarli in fantasia e truculenza. Cosicché un regista che volesse catturare oggi lo spirito del tempo cambierebbe il finale. Ci sarebbero Travaglio e Gomez che prendono a mazzate non un’auto di lusso, ma una bara.