(foto LaPresse)

Contro la retorica da Ventennio sul coronavirus

Guido Vitiello

Diffido del registro eroico di Scurati. Se proprio non sappiamo resistere al richiamo organicista, almeno riconosciamoci come cellule di un corpo malandato

Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. Siamo stati la generazione più fortunata della storia dell’umanità, ha scritto ieri Antonio Scurati sul Corriere, e lo siamo stati perché gli astri ci hanno concesso a lungo di dedicarci alle nostre private felicità e infelicità, dispensandoci dal sentirci parte di un animale politico più grande. Ora però dobbiamo recuperare gli arretrati per combattere uniti contro un nemico invisibile e onnipresente: “Appartenere a una comunità di destino, a una comunità politica, significa anche elevarsi all’altezza di un sentimento tragico della vita, lottare per la vita, desiderare la vita sapendo di ‘galleggiare in un luogo incerto tra due estremi, tra l’essere e il nulla’”. Per parte mia, diffido di questo registro eroico da poeta-condottiero degli anni Venti o Trenta, stagione in cui dopotutto l’autore di “M.” è stato immerso per anni. Quanto alla nazione come comunità di destino o Schicksalsgemeinschaft, che è formula dalla storia ideologicamente intricatissima, non dimentico l’uso che ne fecero i propagandisti hitleriani, tanto più insistente quanto più dal cielo piovevano le bombe degli Alleati. La dichiarazione di guerra del macrorganismo della nazione al microrganismo del coronavirus proprio non fa al caso mio. “La nazione, perché corpo mistico, ci possiede”, si insegnava nelle scuole di Mistica fascista. Se proprio non sappiamo resistere al richiamo organicista, almeno riconosciamoci come cellule di un corpo malandato, vecchio e bisognoso di cure, e il mistero d’iniquità del coronavirus ci avrà insegnato qualcosa.

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