(foto LaPresse)

"Chiudete tutto", dice Guidesi

Valerio Valentini

Il deputato leghista di Codogno lancia l’appello: “Il nostro sacrificio serva da lezione all’Italia”

Roma. Il paradosso, visto coi suoi occhi, è che da quando per tutt’Italia sono scattate le restrizioni, per lui e per chi gli sta intorno, “per la nostra gente”, i divieti si sono fatti meno rigidi. “Sì, perché di fatto, con la creazione di un’unica grande zona arancione, noi non siamo più zona rossa”, dice Guido Guidesi, deputato leghista, già sottosegretario ai Rapporti col Parlamento nel governo gialloverde, che risponde dalla sua casa di Codogno, dov’è confinato da quel giovedì notte in cui, con due giorni d’anticipo rispetto all’inizio ufficiale dell’allerta scattata il 22 febbraio, in città si diffuse la voce: “All’ospedale hanno trovato il primo caso di coronavirus”.

 

E ora, “proprio perché più di altri abbiamo pagato questa crisi”, Guidesi chiede che quel sacrificio non sia vano. “Venuto meno il blocco del traffico, martedì mattina si sarebbe dovuto tenere il mercato di piazza, come al solito. Per noi era una follia, ma di fatto non avevamo alcuno strumento normativo che ci consentisse di sospenderlo. Abbiamo dovuto contattare direttamente gli ambulanti, che hanno compreso e hanno responsabilmente disertato”. Insomma, non si può far finta di niente. “Anzi, proprio ora che si dimostra che la zona rossa, per come noi l’abbiamo vissuta, ha iniziato a funzionare, si dovrebbe estendere per quanto possibile il nostro modello. Ecco perché, da Regione Lombardia, stanno insistendo per la chiusura generale delle attività commerciali non essenziali”. I numeri sono eloquenti. “Nei dieci comuni del Lodigiano compresi nella prima zona rossa, circa 50 mila persone, il tasso di contagio è aumentato del 5 per cento al giorno, nelle ultime quarantott’ore. Nel resto della Lombardia, del 27. Ciò significa che le restrizioni valgono a evitare la diffusione del virus sono se solo assolute”, dice Guidesi, e nel dirlo non può ripercorrere i diciannove giorni trascorsi “in uno scenario di guerra”, col suono delle sirene come unico rumore che rompeva un silenzio surreale, i sindaci costretti ad aggiornare una macabra contabilità dei decessi autorizzando funerali che spesso non si potevano neppure celebrare. “Molti dei nostri medici di famiglia sono risultati contagiati, ma non potevano essere sostituiti, e intanto ad alcuni dei nostri cittadini venivano richiesti i certificati di malattia per giustificare la loro assenza dai posti di lavoro”, racconta il deputato, per provare a dare il senso di una quotidianità stravolta. “Solo al tredicesimo giorno di crisi ci sono stati mandati dei medici militari”, prosegue. “Ci siamo affidati al mutuo soccorso, al senso di collettività, per sopperire alla mancanza di protocolli e di direttive gestionali”.

 

Perché in fondo, oltre “a quelle parole che non potrò mai perdonare al premier Conte, l’aver additato come responsabile di un’epidemia mondiale una comunità che ha dato una prova di responsabilità e di spirito di sacrificio enorme”, oltre a questo c’è l’altro elemento di frustrazione. “Il non venire consultati fa male”, dice Guidesi. “Tutte le vaghezze interpretative dei divieti con cui l’Italia intera sta facendo i conti da due giorni, tra ‘autodichiarazioni’ e dubbi sulle possibilità di spostamento, noi le avevamo già affrontate, e segnalate per temo. Invano”.

 

Ora, dunque, l’ennesimo appello. “Chiudere tutto ciò che si può chiudere senza mettere a rischio i servizi essenziali: farmacie, supermercati, negozi di prima esigenza”. Per rallentare il contagio, ma non solo. “Interpellando le nostre 3.400 aziende nel territorio, tra cui anche 300 sedi di industria pesante e due stabilimenti di multinazionali, abbiamo capito che in questi giorni, col paese mezzo bloccato e un’incertezza generale a livello europeo, si lavora a un regime del 10 per cento, grosso modo. E dunque: che senso ha rischiare di ammalarsi, per produrre a questi ritmi? Meglio fermare tutto per due settimane, e poi ripartire alla massima velocità. E, semmai, sfruttare questa pausa obbligata per fare chiarezza a livello normativo. Che tipo di aiuti ci saranno? L’Europa, che vista da qui sembra purtroppo lontanissima, cosa concederà? Quali sgravi verranno garantiti? Tutto ciò bisognerebbe saperlo al più presto, per consentire a commercianti e imprenditori di poter pianificare la ripartenza”.