(foto LaPresse)

La patria chiama

Guido Vitiello

Lettore! Munisciti di mascherina, oggi che riaprono le librerie, e vai a cercare quel vecchio racconto di Katherine Anne Porter

E’ l’ora più buia, ma vinceremo anche questa guerra, grazie ai valorosi medici in prima linea, agli infermieri in trincea nei reparti di terapia intensiva e allo sforzo comune di noi civili, armati di guanti e mascherine: la patria chiama. Come suonano stonate, e vagamente ridicole, queste fanfare di guerra – eppure le sentiamo squillare da mesi. Quando dilagò la febbre spagnola, nel 1918, veniva fin troppo naturale tenere distinte le devastazioni della guerra appena finita e le devastazioni della pandemia. Anzi, osserva Elizabeth Outka in un libro recentissimo, “Viral Modernism. The Influenza Pandemic and Interwar Literature” (Columbia University Press), gli scrittori vissero con un senso di frustrazione e d’impotenza l’invasione di un nemico tanto sfuggente. Molti disertarono. Tra i pochi coraggiosi che risposero alla chiamata, approntando armi nuove per una guerra che non era una guerra, una medaglia al valore va all’americana Katherine Anne Porter. Nell’ottobre del 1918 era scampata per un pelo alla morte; anni dopo regolò i conti con la spagnola nel racconto “Bianco cavallo, bianco cavaliere”, sui destini paralleli di una donna che contrae l’influenza e del fidanzato mandato a combattere in Europa. Solo che per la guerra ci sono armi e parole in abbondanza, per la pandemia no. Concentrati come sono sui corpi dei soldati, i personaggi di Porter ignorano la minaccia invisibile e la spargono per caffè e teatri, vittime di una metafora sbagliata. Lettore! Munisciti di mascherina, oggi che riaprono le librerie, e vai a cercare quel vecchio racconto: la patria chiama.