(foto LaPresse)

Dal 41 bis al bis del '41

Guido Vitiello

Secondo una certa vulgata il problema dei mafiosi non è quel che hanno fatto, quanti e quali crimini hanno commesso. Devono marcire in galera per quel che sono

Non vorrei che, pur di non cedere sul 41 bis, facessimo il bis del ’41. In quell’anno, nella Germania nazista, il giurista Hans Welzel pubblicò su una rivista di diritto penale il saggio “Persönlichkeit und Schuld”, dove esponeva la dottrina della cosiddetta “colpa d’autore”. In breve: non si risponde alla legge solo per ciò che si è fatto, per quel delitto o quell’altro, ma anche per ciò che si è, nell’interezza della propria persona. E un mafioso rimane prima di tutto un mafioso. Ha scritto qualche giorno fa Gian Carlo Caselli sul Fatto: “Il mafioso, per giuramento di fedeltà, se non si pente conserva lo status di ‘uomo d’onore’ fino alla morte. Gli ‘irriducibili’ non pentiti, perciò assoggettati al 41 bis, restano convinti di appartenere a una ‘razza’ speciale, quella appunto degli uomini d’onore (gli altri sono individui da assoggettare)”. Gli ha fatto eco ieri, perfino più barbaramente, il commissario grillino antimafia Nicola Morra: “I mafiosi non sono delinquenti qualsiasi, ma soldati di un esercito che combatte la democrazia. Per questo sono in prigione. E i prigionieri di guerra non si liberano tanto facilmente, perché potrebbero tornare a combattere”. Il problema, come si vede, non è quel che hanno fatto, quanti e quali crimini hanno commesso. Devono marcire in galera per quel che sono. Non facciamoci impietosire dalla vecchiaia, dal cancro o da qualche altro male incurabile. La compassione, come pure i diritti, dobbiamo riservarli ai nostri simili. Ma loro appartengono a una razza speciale. Una Sonderrasse.