(foto LaPresse)

Quante scorribande di pm pazzi può tollerare una democrazia?

Guido Vitiello

Il caso Bonafede-Di Matteo spiegato con una filastrocca

Piazza mano piazza, ci passò una lepre pazza. Ricordate la filastrocca? Bene, fate conto che nella piazza ci sia un lampione, e sotto il lampione un ubriaco. Sembra che stia cercando qualcosa. Arriva un poliziotto e gli chiede che cosa ha perduto. “La mia chiave”, dice l’ubriaco. Ora sono in due a cercarla sotto il cono di luce. Dopo lunghe ispezioni, il poliziotto gli chiede se è sicuro di averla persa lì. E l’ubriaco: “No, l’ho persa in un altro posto, solo che là è troppo buio”. Così racconta una storiella ebraica. E ora, miei cari discepoli, vi svelo il senso della parabola. La piazza è la nostra polis. La chiave perduta è la soluzione dei problemi della giustizia. L’ubriaco e il poliziotto siamo noi, che sotto la confortevole luce dei mass media ci accapigliamo su mille dilemmi perditempo – l’ultimo: Bonafede o Di Matteo? – perché la chiave è smarrita nel buio, dove fa freddo e si rischia di finire azzannati dalle lepri. Pochi ci si avventurano. Ieri sono stati in due. Il primo, l’avvocato Caiazza, per mestiere difende dalle lepri: “A che titolo il dottor Di Matteo bombarda il ministro in carica?”, si è chiesto qui sul Foglio; e soprattutto, “a chi risponde dei propri atti politici?”. Il secondo, il generale Mori, sono anni che le lepri tentano di sbranarlo: “L’ultimo pm della procura di Guastalla ha un potere immenso”, ha detto al Riformista. “Può mettere sotto indagine il presidente del Consiglio. Anzi, pure il Papa. Chi ha il coraggio di dire qualcosa?”. Piazza mano piazza, ci passò una lepre pazza. Ma quante scorribande di pm pazzi può tollerare una democrazia?

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