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La Welt scrive sull'Italia mafiosa le stesse cose che dicono Di Maio e Beppe Grillo

Luciano Capone

Il ministro, che non ha detto nulla sugli attacchi della Russia a un quotidiano italiano, chiede a Berlino scuse ufficiali per “i toni vergognosi e inaccettabili” di un giornale tedesco. Non gli è chiaro che nelle democrazie stampa e governi sono cose distinte

Luigi Di Maio ha attaccato il giornale tedesco Die Welt per “i toni vergognosi e inaccettabili” usati in un articolo in cui si afferma che “in Italia la mafia sta solo aspettando una nuova pioggia di soldi da Bruxelles”. Non contento, il ministro degli Esteri italiano ha chiesto al governo tedesco di “dissociarsi e condannare” le parole del giornale. Per descrivere quanto sia la polemica sia inutile, basterebbe usare l’excusatio con cui Di Maio l’ha aperta: “Non voglio aprire polemiche perché, francamente, qui in Italia non ne abbiamo nemmeno il tempo”. Solo che poi ha proseguito con un “ma lasciatemi dire che…” che ha immediatamente spento il barlume di buon senso che si intravedeva nelle sue parole. Ma visto che la questione è aperta è il caso di analizzarla, perché presenta problemi di merito e di metodo, ricorrenti nel rapporto del ministro degli Esteri con i media e i governi.

 

In primo luogo l’articolo della Welt, per quanto criticabile, riportava le considerazioni di personalità italiane sul rischio che le mafie possano approfittare della crisi: facciamo attenzione che i soldi pubblici vadano al contrasto dell’emergenza e non in tasca ai mafiosi. Le fonti del giornale tedesco, riportate in un articolo collegato, non sono le opinioni raccolte nei bar di Stoccarda o Amburgo ma quelle di Roberto Saviano su Repubblica – Di Maio ha per caso chiesto al ministro degli Esteri italiano di dissociarsi da Repubblica? – e del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Che poi sono le stesse preoccupazioni del procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho e del direttore della Direzione investigativa antimafia Giuseppe Governale. Se una critica si può fare alla Welt è l’approccio grillino alla questione, quello che fa vedere la mafia dietro ogni spesa, lo stesso usato dal M5s contro la Tav e i fondi europei. “Non date più soldi all’Italia perché finiscono alla mafia”, disse Beppe Grillo a Strasburgo nel 2014. La Welt quindi la pensa esattamente come Di Maio e Grillo, che non si sono mai dissociati da se stessi. E in ogni caso ha la Welt attaccato la mafia, non l’Italia. Pertanto – e questo è l’aspetto tragicomico della faccenda – la richiesta di scuse di Di Maio rivolta a Berlino appare come una difesa della reputazione dei mafiosi e non degli italiani.

  

Ma nella polemica c’è anche un problema di metodo, che è ancora più importante. Al ministro degli Esteri italiano non è affatto chiaro che nelle democrazie i giornali e i governi sono due cose ben distinte: i primi non rispondono di ciò che fanno i secondi, e viceversa. Al ministro degli Esteri tedesco non è mai venuto in mente di chiedere al governo italiano di condannare gli articoli, le prime pagine e le trasmissioni televisive che in questi anni hanno riservato un trattamento non proprio gentile ed elegante alla cancelliera Angela Merkel. Invece Di Maio, solo poche settimane fa, ha avuto la medesima reazione quando una tv francese ha fatto un video satirico, un po’ disgustoso, sulla pizza al coronavirus. “È inaccettabile. Ho attivato l’ambasciata a Parigi. Esigiamo rispetto”, è stata la reazione indignata di Di Maio. Quando poi uno stato, la Russia, attraverso un suo generale dell’esercito portavoce del ministero della Difesa ha sferrato un violento attacco a un giornale e un giornalista italiani – la Stampa e Jacopo Iacoboni – il ministro Di Maio non ha fatto la voce grossa. Anzi, è rimasto in silenzio. E la reazione della Farnesina è stata più che timida: un comunicato congiunto col ministero della Difesa in cui, dopo un lungo panegirico e tanti ringraziamenti a Mosca, si dice: “Non possiamo non biasimare il tono inopportuno di certe espressioni”. Nessuna richiesta di scuse, condanna o dissociazione. Dopo questo comunicato omeopatico il governo italiano era addirittura in attesa, speranzoso, di una “chiara nota pubblica russa” di risposta che però non è mai arrivata, perché evidentemente a Mosca ci considerano un paese di Pulcinella. Pizza, mafia e Pulcinella: una politica estera che conferma la peggiore immagine stereotipata dell’Italia.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali