Roberto Saviano (foto LaPresse)

Saviano “a pu***ne”

Maurizio Crippa

Il Barbara D’Urso di Rep. ha scoperto Sciascia e la parola “garantismo”. Ma è giustizialista e non ha capito nulla

Forse la didattica a distanza, forse l’intercessione del maestro Manzi, quello di Non è mai troppo tardi, fatto sta che Saviano Roberto ha scoperto Sciascia e la parola garantismo. Orecchiati di terza mano: sul Manifesto Peppe Provenzano ha ricordato Massimo Bordin (si suppone senza ricordare cosa Bordin pensasse di Saviano) prendendo a prestito una citazione di Sciascia “ritrovata da Guido Vitiello”. Molti gradi di separazione. Il tema dunque è il garantismo. Questo sconosciuto. Da Saviano. Che ha scritto per Rep. un articolo vergognoso secondo cui “la Lombardia paga il falso garantismo”. Anzi un “garantismo da puttane”.

 

La citazione di Leonardo Sciascia ritrovata da Vitiello è questa: “Io non sono un garantista: sono uno che crede nel diritto, nella giustizia”. La citazione di Massimo Bordin giunta a Saviano (via il Manifesto e Provenzano) recita invece: “Sciascia credeva nella giustizia secondo diritto, che è fatta anche di sostanza”. Sarà colpa della didattica a distanza o dell’impotenza del maestro Manzi, Saviano travisa i concetti (punto debole di Saviano, i concetti) mistifica i fatti e li travolge nel suo giustizialismo basico che non ha nemmeno il merito della pertinenza alle cronache.

 

L’articolo è un seguito ideale del suo ignobile intervento sul Monde in cui da par suo spiegava che la Lombardia se l’è cercata, perché ha svenduto la salute al profitto. Colpa di Berlusconi, Formigoni, della Lega e ovviamente delle infiltrazioni della criminalità organizzata, ché senza mafie il meraviglioso mondo del mago di Oz Saviano non sarebbe così verde smeraldino. O verde palma, perché il canone desunto grossolanamente da Sciascia è la sicilianizzazione del nord, “con l’acquisizione di ampie fette dell’economia settentrionale – e dunque del Potere – da parte delle Mafie” (gli piacciono le maiuscole).

 

La Lombardia soffre “perché ha distrutto il suo tessuto sociale”, dice. E noi che pensavamo fosse per il coronavirus. Al fondo, c’è l’idea di giustizia sociale: che nel suo cortocircuito mentale sostituisce il garantismo. E’ un po’ come dire che la ghigliottina, massima espressione della giustizia sociale, fosse un attrezzo garantista. Ma per Saviano “il garantismo è morto quando si è venduto a Berlusconi, e ora a Salvini. Perché mai in questi anni sono stati dalla parte degli ultimi”. Forse invece, il garantismo è diventato “una storia di puttane” quando un “diversamente garantista” come lui scatenava campagne, ad esempio, con accuse di concorso mafioso contro l’ex presidente del Pd campano Stefano Graziano, poi assolto dalle infamanti accuse.

 

Ma ora, dice Saviano, ci sono “alcuni” (soggetto che resta imprecisato) “sulle barricate nel tentativo di sventare i processi”. Quali processi? Al momento non c’è nessun processo. Li vede solo questo visionario Barbara D’Urso di Rep., che strilla a cavallo di un drone all’inseguimento di gente da linciare. Strepita contro quelli che “dicono e scrivono che non si processa lo spirito lombardo”. Persone che “non comprendono il rischio di non elaborare il lutto”. Proviamo, con l’apriscatole dell’abbecedario, a estrarre il succo delle parole di Saviano. Il senso di quel che lui ha capito è che il “garantismo”, sarebbe una giustizia di tipo “sociale”. E con forsennata logica da giustizialista, ritiene che l’unico garantismo che guarirà la pandemia (altrimenti “dietro l’angolo c’è il collasso morale”) è un bel processo che serva non a fare giustizia, ma a “elaborare il lutto”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"