Elisabetta II alla guida

Fuoristrada regale

Michele Masneri

Quest'anno ricorre il cinquantesimo anniversario del debutto della Range Rover, marchio che deve molto alla Casa reale britannica

Era nata come derivazione della Land Rover negli anni Sessanta, nata a sua volta come jeep economica per il farmer inglese rustico, costruita in alluminio ai tempi della guerra e dunque leggera, poiché l’acciaio era razionato alla Patria. La Range Rover, versione padronale, debuttò nel 1970 e dunque ricorre quest’anno il cinquantesimo; l’idea era di combinare insieme il comfort di una berlina Rover e la possibilità di andare ovunque di una Land. Oggi le Rover sono scomparse, nell’Inghilterra priva di industrie automobilistiche, mentre Land e Range sono ormai marchi degli indiani di Tata. Eppure non c’è niente di più inglese, grazie a quella che è probabilmente la partnership pubblicitaria più lunga della storia, quella con la famiglia reale. Elisabetta ricevette infatti la sua prima Land nel 1951, un anno prima d’essere incoronata, e non ne è mai scesa.

 

La Regina guida personalmente la sua Land nella tenuta di Sandringham come si è visto in “The Queen”, rigorosamente senza patente che non le è richiesta in quanto sovrana. Mentre Filippo ha sempre preferito la Freelander; auto che ha probabilmente anche visto l’ultima sua uscita in pubblico o almeno al volante, dopo essersi cappottato nei dintorni l’anno scorso; ma già nel 2016, all’arrivo degli Obama in visita di stato, aveva insistito per guidare lui, andandoli a prelevare all’eliporto fino al castello di Windsor, viaggio breve ma che aggiunse un brivido agli Obama dall’aria perplessa (la Range di quell’augusto trasporto è stata poi messa in vendita, con notevole sovrapprezzo rispetto alla quotazione di mercato. Perché pare che nonostante il “royal warrant”, i Windsor le paghino, le macchine).

 

Quando uscì, la Range, fu una bella rivoluzione: la definizione di SUV- Sport Utilty Vehicle lontana da venire (“in che senso utility?” avrebbe chiesto lady Violet di “Downton Abbey”). Divenne subito un classico, da Casa reale in giù: se il portellone che si apre a mensola ha permesso picnic a Glyndebourne per generazioni di possidenti melomani, William è andato a ritirare all’ospedale i frequenti marmocchi prodotti da Kate esclusivamente in Range. E se le pubblicità d’epoca mostravano il macchinone britannico tra guadi e alture, nella realtà i proprietari mai le avrebbero condotte tra i dirupi, preferendo garage di ville o villette dove “il” Range stava al riparo dalla polvere. Anche in Italia, dove “il” Range dagli anni Ottanta divenne segno estremo di distinzione automobilistica, anche in versioni cheap. Il tragico 2.4 turbodiesel serviva infatti per scappare a tassazioni populistiche che impedivano il più araldico 3.6 benzina, e la differenza era tutta lì, sulla cilindrata, e non tanto tra i modelli, tra cui un opulento “Vogue”. Il 3,6 litri a benzina garantiva consumi micidiali; ma erano altri tempi, l’idea di “ibrido” avrebbe evocato il mondo vegetale, e attaccare una spina elettrica alla macchina sarebbe stato considerato sminuente per la virilità del guidatore, un po’ come il cambio automatico che in Italia era considerato per mezzi uomini. Così l’italiano in Range non era quasi mai un lord decadente bensì più spesso un libero professionista di Bergamo che arrancava col turbodiesel, smanettando con le marce, in fuga dal superbollo.

 

Della Range si sono susseguite infinite versioni, anche speciali, anche molto bizzarre. Nel 1982 una terribile papamobile, per la visita di Giovanni Paolo II a Londra, e poi una “Linley”, al prezzo di centomila sterline, disegnata dall’omonimo visconte-arredatore figlio della principessa Margaret, e mai avvistata a memoria d’uomo (ma probabile ennesimo risarcimento per le infelicità di mamma, a conferma ancora una volta del legame indissolubile del fuoristrada con la Casa reale).

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