(foto LaPresse)

Non c'è tempo da perdere in città

Lorenza Baroncelli

La sfida sarà intervenire su uno spazio pubblico ben progettato, interessante, innovativo, sistemando le piccole piazze che potrebbero assicurare socialità e stesso trattamento alle classe sociali

Si è molto discusso nelle scorse settimane sui diversi modelli di sviluppo urbano post Covid. Il dibattito su città-campagna generato anche dalla grande mostra di Rem Koolhaas ha subito un’accelerazione: su questo giornale Stefano Boeri ha proposto che le 14 città metropolitane italiane adottino i borghi abbandonati. Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, parla della “città del quarto d’ora”, dove puoi trovare tutto ciò di cui hai bisogno (scuola, spazio pubblico, servizi di interesse comune, commercio, aree verdi) a 15 minuti da casa.

 

In tutto questo, dalle amministrazioni locali si sollevano voci diverse forse perché sindaci di città importanti, come Milano e Roma, sono vicini alle elezioni. E probabilmente non si potranno permettere, per rispondere al Covid, di predisporre processi che impiegheranno tempi molto lunghi per la loro implementazione. Le città devono essere veloci nel dare risposte. Di fronte a un problema che tra sei mesi potrebbe essere superato, oppure travolgerci, hanno bisogno di strategie che siano economiche, veloci, sostenibili e con livelli di partecipazione ed interazione sociale molto forti. La mobilità sarà uno dei temi strategici, sia perché il Covid è soprattutto un problema di trasporto pubblico, in termini di densità di persone, sia perché le politiche più evolute sui trasporti, come i Pums (i Piani urbani della mobilità sostenibile), hanno come filosofia queste caratteristiche di intervento.

 

Federico Parolotto, senior partner di Mobility in Chain, ha dichiarato che “se non cogliamo l’occasione di questa crisi avremo perso una opportunità. Il Covid si iscrive in un tema più ampio come quello dei cambiamenti climatici. Questo momento può diventare un grande motore di innovazione. E per farlo ci vuole una volontà politica e una nuova narrazione”.

 

Andrea Murari, assessore all’Urbanistica di Mantova, prosegue: “Emergeranno nuovi conflitti sull’uso dello spazio pubblico. In particolare per quanto riguarda il mondo del commercio, soprattutto bar e ristoranti, che avranno bisogno di più spazio per le loro attività. Per la politica locale questa diventerà una occasione unica perché i sindaci non saranno più visti come radical chic che vanno in bicicletta e che si accaniscono contro le automobili ma diventerà un tema condiviso e spinto dal basso. I commercianti che spesso in passato hanno polemizzato con gli amministratori locali che volevano togliere le auto davanti ai loro negozi finalmente scopriranno che lo spazio pubblico può essere usato in un altro modo. Capiranno che scelte politiche radicali potrebbero andare incontro anche ai loro interessi materiali.”

 

Anche le aree verdi urbane giocheranno un ruolo fondamentale. In un momento in cui le città si stanno riorganizzando per la fase 2 e devono fare i conti con il distanziamento sociale, il tema dello spazio pubblico (parchi, giardinetti e strade) diventa centrale. Prendiamo il caso di Milano, dove ci sono 24 milioni di mq di verde. Questo significa che i milanesi ne hanno a disposizione 18 a testa. Né pochi né tanti, se paragonati agli spazi di una casa. Mediamente nelle nostre abitazioni abbiamo infatti 52 mq a testa ma c’è anche chi vive in quattro in 70 mq. I 18 mq di spazio pubblico diventeranno una “stanza verde” (come da definizione di Chiara Quinzi in una intervista al Giorno) che ognuno di noi ha fuori dalle proprie case, dove potrebbe andare senza fare i turni e restando a debita distanza.

 

La sfida sarà intervenire su uno spazio pubblico ben progettato, interessante, innovativo, sistemando le piccole piazze che potrebbero assicurare socialità e permetterebbero alle diverse classi sociali medesimo trattamento di fronte allo spazio dell’abitare. La sopravvivenza delle città, grandi, piccole, dense o diffuse, sarà possibile solo se dimostreranno questa capacità di adattamento ai cambiamenti. La nuova “città ideale” sarà quella capace di rigenerarsi con soluzioni semplici, da attuare in poche settimane, attraverso un mix graduale di opzioni e strategie flessibili piuttosto che approcci netti e spesso solo teorici.

 

Ma per poter sfruttare occasioni come queste, la politica deve fare la sua parte. E ha poche settimane a disposizione. Poche settimane, per ripartire. Per costruire il futuro. Pronti a reagire nella malaugurata ipotesi di futuri disastri.

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