Carrellata sul trasporto pubblico milanese in una cartolina degli anni Sessanta

Il risveglio delle città

Michele Masneri

Dopo il Covid. Lo smart working, gli affitti e gli alloggi da riconvertire, l’università come sostitutivo dell’overtourism. Roma, Milano, Genova: un confronto

Si era partiti dai borghi: fuga verso le campagne e non se ne parli più. Ma poi ci si è resi conto che delle nostre amate città non possiamo fare a meno. Eccoci dunque a fare il punto, per uno scambio fra tre città italiane, tre punti di vista di come gestire il dopo-pandemia. Ospiti della Triennale di Milano, del suo progetto “Urban Center” insieme al direttore Lorenza Baroncelli. Roma e Milano, eterne contendenti, e Genova, città particolare e particolarmente provata. “Parto subito dal dire che io alla fuga dalle città non ho mai creduto”, dice Luca Montuori, assessore all’Urbanistica del comune di Roma. “Anzi la città è stata la soluzione. Molta gente è stata curata a casa, e questo può avvenire solo in una città, dove c’è una rete di assistenza”. Ma Roma è una città abbastanza vincitrice morale della gestione Covid. E’ l’approccio allo smart working che è opposto. Per Pierfrancesco Maran, assessore a Milano, è chiaro: “Il telelavoro così com’è non può andare avanti”, dice al Foglio. La sensazione è che se Milano sta cercando disperatamente di far tornare i suoi lavoratori in ufficio, come vuole il sindaco Sala, Roma sta dicendo: state a casa se potete. La Raggi negli ultimi giorni ha sottolineato infatti che il comune aprirà sedi decentrate. Montuori conferma il trend: “Roma è una città di terziario, e questo spiega molto”, dice Montuori. “Già prima del Covid avevamo calcolato che se ogni giorno il 4 per cento di lavoratori non andasse in ufficio, si avrebbe un risparmio di traffico pari a una nuova linea di metropolitana”. Però a Milano una nuova linea la stanno costruendo: la S9 o “circle line”, “un’opera fondamentale che andrà a potenziare i collegamenti verso la zona sud della città”, annunciata qualche giorno fa dallo stesso Maran, insomma il modello Milano si conferma quello dell’efficienza. “Vogliamo mantenere le qualità del sistema Milano, ma senza gli eccessi, gli “estremismi di frenesia”; come li chiama. Insomma quelli che prima del Covid avevano creato la faccia un po’ spaccona della Milano arrembante. E costosa. Così se a Roma si teme il crollo immobiliare, a Milano “i prezzi non sono scesi di un euro, né per gli affitti né per le vendite, talmente alta era la richiesta prima”, dice tutto contento Maran. Ma se le case continueranno a costar care, l’housing sociale non pare un obiettivo realizzabile. “Oggi la leva pubblica non è in grado di rivoluzionare il mercato”, dice Maran. “Non fa numeri abbastanza alti. Puoi fare duemila alloggi l’anno se va bene. Non sposta un sistema di 500 mila case”. 

 

 

Pazienza. Bisognerà capire che fare poi con tutto il business dell’affittacamere, che sia a Milano che a Roma è stato fiorentissimo ammortizzatore sociale negli ultimi anni. “Poco prima del lockdown avevo sottolineato come ci fossero 20.000 Airbnb a Milano, un elemento che drogava il mercato in maniera fortissima”. Oggi bisognerà pensare come riconvertire queste quote di alloggi. A Roma, dove pure gli Airbnb sono ovunque, e deserti, e sul mercato ormai pullulano gli affitti “transitori, massimo sei mesi”, della serie, se riparte il turismo ti caccio, Montuori un’idea ce l’ha: “Roma ha la più grande comunità scientifica d’Europa, con duecentomila tra studenti e ricercatori famelici di alloggi. Si potrebbe pensare a una riconversione in questo senso. E in generale, Montuori pensa all’università anche come sostitutivo di un “overtourism” che prima faceva paura, ora un po’ manca, ma di certo ritornerà. “Per adesso l’impatto è devastante a Roma. Il 70 per cento delle strutture non ha riaperto. Ma anche dopo l’11 Settembre si diceva che nessuno avrebbe più preso un aereo”.

 

L’università è un problema e una sfida anche per Milano. Maran sottolinea come tanti studenti fuorisede, per esempio del sud, “non torneranno. Ecco perché le università si devono attrezzare, e lo stanno facendo, per tornare a fare i corsi dal vivo. Del resto perché uno dovrebbe iscriversi alla Statale che fa i corsi online se, per esempio in Sicilia e in Campania stanno facendo le iscrizioni gratuite al primo anno e con lezioni tradizionali? E’ una bella sfida puntare sul ritorno sulla qualità dell’insegnamento di persona”.

 

Ma se Milano ha l’horror vacui, Roma in un certo senso è felice di vedersi un po’ svuotata. “Abbiamo lanciato la piattaforma online per il condono edilizio, in modo che i professionisti possano accedere senza dover attraversare la città. Stiamo lavorando sulla autocertificazione. Le affrancazioni sono cose che a Roma generano flussi da duecentomila persone”, dice ancora Montuori. Diverse dinamiche centro-periferia, anche. “Puntiamo a una ridefinizione dello spazio pubblico; ad attività di quartiere”, dice Maran. “Certo, abbiamo un dramma nel centro della città, che si basava su un’utenza di turisti e impiegati. Ma il lockdown ha fatto riscoprire attività di quartiere anche fuori dal centro, zone nel raggio di 15 minuti dove la gente abita”. A Roma, in 15 minuti non arriva neanche, la metropolitana. “Roma è una città a bassa densità, e territori enormi”, risponde Montuori. Si potrebbe dire che forse proprio Roma è il “borgo” o l’area a bassa intensità che gli urbanisti a partire da Boeri vagheggiano: poco densa, mal collegata, verdissima, quasi boscosa. “Le linee possibili di metropolitana sono quattro, non di più”, dice Montuori. Possibili nel senso di sostenibili, per passeggeri trasportati rispetto ai costi. 

 

 

“Roma non può avere le dieci linee di Madrid, la sua struttura territoriale non lo permette”. Così si punta sulla intermodalità “leggera”: “Rafforzare 150 km di ciclabili e permettere a tutti di cambiare mezzo, dall’autobus al monopattino alla bicicletta e poi il mezzo pubblico”. E poi finendo tra i tavolini di bar e ristoranti, che paiono l’unico mezzo condiviso di tutti, Milano, Roma e pure Genova. “Noi in un certo senso al Covid eravamo preparati, perché con la tragedia del ponte Morandi di due anni fa avevamo già vissuto l’isolamento”, dice l’assessore Simonetta Cenci. “Abbiamo avuto molto tempo di pensare”. Così in poche settimane ci siamo subito riorganizzati con lo smart working. Ma non hanno solo pensato, a Genova, dove “non abbiamo mai chiuso i cantieri, non solo quello del ponte”. Il ponte, appunto, il ponte che “inaugureremo il 1° agosto e finalmente potremo connettere le due parti della città”. Ma allora tutto luglio salta, come fanno i turisti? “Abbiamo chiesto al porto di darci delle aree; e poi siamo abituati, abbiamo già una viabilità alternativa”. E’ anche l’unica, Genova, ad avere la spiaggia. E lì, ampliamento di quelle pubbliche, “con rigidi controlli della polizia che controlla gli ingressi e i distanziamenti, e una app che ti dice in tempo reale dove c’è posto”. Insomma, spiagge a parte, ogni città cerca la sua soluzione per il futuro. L’unica piattaforma condivisa, per ora, pare quella di un tavolino all’aperto, grande classico dell’estate italiana. Sul suolo pubblico affidato generosamente a bar e ristoranti fanno a gara le tre città; bisognerà vedere poi se ci sarà chi ci si siede.

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