Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris (foto LaPresse)

Le Corbusier a Napoli

Michele Masneri

Un libro immagina un detour, da perfetto flâneur, del celebre architetto nel centro partenopeo

La massima archistar mondiale, di ritorno da un lungo viaggio in India e diretto a Parigi, è costretto ad atterrare a Capodichino e lì si perderà tipo “fuori orario” (nel senso di Scorsese) in una città così diversa dalle sue passioni (o forse non così tanto). Non è un plot di una nuova serie molto di nicchia per Netflix ma l’idea immaginifica di un libro, “Un ritrovamento inatteso”, di Cherubino Gambardella e Maria Gelvi (edizioni Lettera Ventidue), architetti col gusto del divertimento che si sono messi a immaginare cosa sarebbe successo se Le Corbusier fosse stato improvvisamente risucchiato da Napoli. In realtà l’architetto svizzero, quando ancora non aveva preso il celebre nome d’arte, e si chiamava ancora Charles-Édouard Jeanneret-Gris, aveva fatto il suo grand tour a Napoli ai primi del Novecento. Ma tornarci da grande progettista è un’altra cosa. Così adesso Gambardella (ordinario di architettura proprio a Napoli) racconta il “what if” di un accoppiamento sicuramente gustoso. Le Corbu qui è di ritorno da Chandigar, dove si sta occupando di costruire da zero la città capitale del Punjab per volere di Nehru (è una delle capitali postcoloniali di quegli anni, meraviglioso parco a tema, da cui anche le poltroncine squadrate oggi celebri su tutte le riviste di design, fatte da suo cugino Pierre Janneret). Così nell’estate del 1962 il Boeing Air India proveniente da nuova Delhi e diretto a Parigi, per un guasto, si deve fermare a Capodichino. Le Corbusier, stanco, seccato, col suo impermeabile, scende la scaletta, chiama subito il consolato francese, ma non si può far nulla. Bisogna solo aspettare. Va in albergo (l’hotel Parker), e si mette a vagare da perfetto flâneur per la città, per tre giorni, senza sosta. Riempiendo un fondamentale taccuino di appunti, disegni, fotografie, collage. Riuscirà poi finalmente a tornare a Parigi, ma al momento di smontare il bagaglio, il taccuino non c’è. Verrà ritrovato dal portiere dell’Hotel Parker, che poi lo tramanderà anni dopo all’autore del libro.

 

Le Corbusier vaga per il golfo, tra i “centomila balconi della città implacabile”, il “moderno napoletano” e il “razionalismo mediterraneo”. E poi naturalmente l’esoterico: l’architetto all’epoca è molto amico di Réné Guenon e si appassiona di tarocchi. Esotico & esoterico: è nel posto giusto: dunque sguazza tra palazzo donn’Anna, dove la regina Giovanna d’Angiò incontrava fra le grotte i suoi amanti, per poi ammazzarli; palazzo Penne, costruito in una sola notte da Belzebù; i fantasmi di palazzo Sansevero le cui sale si tingono di sangue quando Carlo Gesualdo trucida la moglie in un femminicidio d’epoca. Insomma, alla fine le Corbu è felice di questo detour e Napoli: dopo tutto quel Punjab forse inutile, e quelle architetture nuove di zecca, chi non lo sarebbe.