(foto LaPresse)

E' davvero necessario convincere gli italiani che il virus non c'è più (grande bugia)?

Enrico Bucci

Lo spettacolo della scienza divisa ci riporterà al disastro vissuto a febbraio, quello del #nonsiferma

E’ ora di mettere le cose in chiaro sulle ragioni che muovono la narrativa di chi spinge perché il Covid-19 sia presto dimenticato, e con esso tutte le misure di contenimento, sicurezza e prevenzione che invece sono ancora necessarie.

 

Il punto, alla fine, è molto semplice: si tratta di fare in modo che tutti recuperino la fiducia nel futuro. Il nemico cioè non è quello che si dichiara – una paura che viene dipinta come ossessiva, terroristica e irrazionale – ma quello che attraverso queste immagini viene ridicolizzato ed esorcizzato: l’incertezza su cosa potrebbe accadere domani, tra un mese, tra un anno. Questa incertezza, contrariamente a chi vorrebbe che imparassimo al contrario a convivere con essa sulla base di razionali considerazioni legate ai limiti delle nostre conoscenze attuali, è il principale nemico della vita finanziaria ed economica del nostro paese e di tutto il mondo, ed è per il danaro e la sua circolazione ciò che il virus è per il corpo umano: un agente capace di infettare le menti non solo degli investitori – rendendoli prudenti e quindi diminuendone le scommesse – ma anche e soprattutto gli imprenditori e i consumatori: tutti, attaccati dalla sfiducia generata da un futuro incerto a causa del virus, cominciano a spendere meno, a consumare meno, a produrre meno, e in generale quindi a contrarre in maniera catastrofica la vita economica.

 

L’incertezza nel futuro è cioè il nemico, perché genera sfiducia negli acquisti, negli investimenti, nelle speculazioni: e questo, naturalmente, non fa perdere solo soldi ai piccoli negozi, ai ristoratori, alle mille attività ed imprese turistiche del nostro paese, ma anche e soprattutto a chi, alla fine, governa il nostro paese – qualunque sia il colore politico in Parlamento – perché ne controlla la finanza e, per mezzo di quella, le istituzioni. Il problema è che non si può dire agli italiani direttamente di rischiare di nuovo, perché il #nonsiferma che ha preceduto la prima ondata si è rivelato un azzardo comunicativo insostenibile, di cui si stanno ancora cercando i colpevoli. E allora, si corre a costruire una realtà alternativa, quella di un virus sparito, o comunque non più capace di far danno, e di una scienza che ha fallito ed esagerato nel fronteggiare l’epidemia, la quale – anche se non si può più dirlo usando queste parole ormai screditate – deve essere trattata come una normale influenza, pur senza esserlo. 

 

Il gioco non è difficile da condurre, perché basta sfruttare narcisismo e competizione personale tra singoli, importanti ricercatori, per inscenare il solito, stantio spettacolo della scienza divisa – gioco al massacro cui i ricercatori mai rinunciano, visto che narcisi e competitivi spesso lo sono; per poi eleggere il campione o i campioni del virus indebolito e non pericoloso, le cui compulsive presenze mediatiche fanno presto breccia in una popolazione esausta dalle troppe notizie e dalla troppa paura, e dunque ben felice di essere rassicurata.

 

Arriviamo così al massacro persino dei libri di testo di biologia molecolare, con l’abbandono del dogma centrale che prevede che, per mutare una proteina, si debba mutare il codice genetico di un organismo (con qualche sporadica eccezione), per dire che il virus si è “per forza” adattato ed è divenuto meno letale: una riforma da Nobel della nostra conoscenza scientifica, se solo fosse vera.

 

Ora io mi chiedo: è davvero necessario convincere gli italiani di una bugia così grande, quella che il virus non ci sia più e non sia più in grado di tornare, o che non faccia danno se ci si infetta? Io credo, al contrario, che così facendo si vada senza necessità alcuna nella stessa direzione del #nonsiferma di fine febbraio: verso un disastro, anche per chi vorrebbe far riprendere la nostra malandatissima economia.

 

Cosa serve, invece, per ripristinare la fiducia nel futuro? Forse la sensazione che chi ci amministra sia meglio in grado di controllare l’epidemia, attraverso politiche efficienti di tracciamento ed isolamento dei focolai, per impedire guai peggiori; e forse pure una serena ammissione di responsabilità per le cose che si è sbagliato, insieme alla sicurezza che se ne sia tratta una lezione utile a impedirne la ripetizione. Sarebbe ora di ammettere che il virus resterà per un certo tempo con noi, e invece di inventarsi che sia già “depotenziato”, arrampicandosi su pareri di esperti compiacenti, aumentare la fiducia dei cittadini con una comunicazione trasparente e precisa (oltre che pronta) di ciò che sta accadendo e dei rischi, delle contromisure prese, dei comportamenti da attuare (che sono sempre gli stessi).

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