Prepararsi all'autunno
Ragioni per cui è imperativo prepararsi per tempo all’eventualità di una ripresa del Covid nei mesi freddi
Su cosa si fonda l’ipotesi della stagionalità del coronavirus Sars-CoV-2? La stagionalità dei patogeni, e in particolare dei virus, è un fenomeno incredibilmente complesso, cui in genere contribuiscono molti fattori differenti. Proviamo a riassumerli senza eccedere nel dettaglio.
Una prima ovvia categoria di fattori include quelli collegati alla variazione di parametri fisici che rendano più o meno semplice la trasmissione del virus. Fra questi, umidità relativa e temperatura sono molto importanti, in combinazioni diverse, per tanti virus stagionali. I dati circa temperatura e umidità, per Sars-CoV-2, sono al momento controversi: è però ragionevole immaginare, visto che il “vettore” del virus è costituito principalmente da goccioline di esalato respiratorio, che queste goccioline risentano di temperatura e umidità e quindi evaporino o cadano più facilmente al suolo (per effetto della condensazione ad alta umidità). Però, il verso dell’effetto potrebbe manifestarsi sia nel senso, per esempio, di un’aumentata volatilità, dopo evaporazione, di particelle virali secche ma infettive, sia invece nel senso di una non sopravvivenza del virus senza uno strato liquido protettivo. In aggiunta, l’umidità relativa dell’aria – e quindi il clima freddo e secco dell’inverno – è stata correlata a un effetto sulle mucose delle alte vie respiratorie, che diventerebbero meno protette dall’aggressione dei patogeni respiratori.
La luce solare è un ulteriore fattore da considerare, e qui sappiamo qualcosa in più: gli esperimenti di irraggiamento con luce solare simulata presentati da almeno un paio di gruppi differenti sembrano indicare una sensibilità del virus a un’esposizione in piena luce solare (cioè al massimo delle condizioni possibili) per una decina di minuti o giù di lì. Diciamo che, in questo caso, disponiamo di evidenza da lieve a moderata per un effetto del sole, volendo usare i criteri sulla base dei quali si pesa l’evidenza scientifica disponibile.
Una seconda categoria di fattori comprende quelli collegati alla stagionalità del comportamento umano, che può favorire o meno il contagio. In uno studio inglese, per esempio, si è dimostrato un cambio forte di attività fisica moderata (camminate e passeggiate) legate alla stagione, in accordo con il senso comune che vuole che nella bella stagione si trascorra più tempo all’aperto, anche al di fuori delle vacanze. Siccome dallo studio dei cluster di trasmissione di Sars-CoV-2 è noto che vi è un maggior rischio di trasmissione al chiuso, il fatto di trascorrere alle nostre latitudini più tempo al chiuso in autunno e in inverno aumenta il rischio di contagio in quelle stagioni. Inoltre, agiscono in senso fra loro opposto il turismo estivo – che dissemina potenziali infetti durante le vacanze – e il trasporto di persone e merci per motivi lavorativi: dal bilanciamento dei flussi migratori in un certo luogo dovuto all’uno e all’altro fattore dipende il rischio di accensione di focolai epidemici in una certa parte dell’anno. Infine, vi è un terzo gruppo di fattori, legati all’interazione fra il nostro sistema immune ed un patogeno, che vale particolarmente per i virus pandemici.
Se il tasso di mutazione virale è tale da generare annualmente nuove varianti ad alta diffusività, non riconosciute dal nostro sistema immune, ecco che anche in mancanza di qualsiasi altro fattore si osserverà ripresa virale a cadenza stagionale (ma potrebbe pure essere pluriennale).
Per escludere la stagionalità, come alcuni ingenuamente fanno, non basta mostrare i dati di infezione attuale in paesi anche molto caldi: il punto è che non sappiamo ancora con precisione quanto pesino su R0 i vari fattori elencati – cioè per esempio quanto conti la temperatura, rispetto al fatto di stare più al chiuso – né presi singolarmente né, a maggior ragione, in una combinazione complessa fra di loro. Potrebbe anche darsi che il fattore più importante sia quello immunologico, per cui la stagionalità è invisibile al “primo arrivo” del virus. Né sono utili i dati su altri coronavirus respiratori, dato che, sui sei già noti, quattro sono fortemente stagionali, mentre i due che causano malattie più gravi – Sars e Mers – non lo sono.
In queste condizioni, ciò che conta è quindi la mera possibilità concreta della stagionalità, e qualche primo dato che induce a pensare la sua effettiva esistenza; tanto basta perché sia imperativo prepararsi per tempo all’eventualità di una ripresa nei mesi più freddi.
Cattivi scienziati