(foto LaPresse)

Sereni, ma vigili di fronte al virus

Enrico Bucci

La situazione in Italia è sotto controllo, ma i dati sui nuovi ricoverati richiedono massima attenzione

Il virus è in Italia, al momento, a livelli molto bassi rispetto a qualche mese fa. Gli ospedali, rispetto ad allora, sono vuoti. Tuttavia, i paragoni possono indurre una percezione diversa rispetto al periodo di riferimento che si sceglie. Se puntiamo, come è facile che accada, l’attenzione sul massimo epidemico, la situazione attuale è assolutamente tranquilla. Ed è giusto sentirsi rassicurati, rispetto non solo alla salita esponenziale che abbiamo vissuto, ma pure rispetto all’interminabile discesa a numeri alti. Il paragone, però, può essere fatto anche in maniera diversa. Può essere fatto, cioè, con il momento in cui abbiamo scoperto i primi casi. Di fronte alle poche decine di positivi scoperti ogni giorno a febbraio, noi oggi ne troviamo a centinaia. E non è vero che questi positivi non sono malati, come qualcuno, dal momento che le proprie corsie sono vuote, si ostina ad affermare. Guardiamo per esempio agli ospedali interessati dallo tsunami virale, come gli Spedali civili di Brescia o l’ospedale di Lodi. Da qualche settimana, in entrambi i casi le terapie intensive erano Covid-free, come si dice con orrido anglicismo. Eppure, negli ultimi giorni a Brescia sono arrivati quattro nuovi ricoverati in terapia intensiva – peraltro di età inferiore a quanto succedeva mediamente a marzo e ad aprile, confermando che anche i giovani, in minor percentuale, possono presentare sintomi gravi. A Lodi, dopo diverse settimane, si ha il primo nuovo ricovero di un paziente infetto in terapia intensiva. A Napoli, su 13 nuovi ricoverati in ospedale al Cotugno, tre sono in condizioni serie e si trovano in terapia intensiva o subintensiva, tanto da far dire al direttore generale che “i casi sono ancora pochi ma iniziano a essere sintomatici e al crescere dei numeri iniziamo di nuovo a vedere pazienti, anche giovani e sani, giungere in pronto soccorso con una sintomatologia abbastanza conclamata e quadri clinici complessi”. Complessivamente, se guardiamo al totale dei pazienti ospedalizzati, otteniamo che circa il 7 per cento di questi è in terapia intensiva, una percentuale coerente con l’età mediana discesa a 41 anni (perché le percentuali riportate anche all’inizio dell’epidemia per i quarantenni variavano secondo le nazioni dal 4 al 10 per cento).

 

A quel che si vede oggi, quindi, non sono cambiati affatto né il virus né la malattia, come vorrebbero quelli per cui il pericolo è passato per sempre: semplicemente, le misure adottate e le circostanze in cui si è sviluppata l’epidemia in Italia hanno fatto in modo che oggi i numeri siano molto piccoli e facilmente gestibili dal punto di vista delle risorse ospedaliere. Finché rimaniamo in queste condizioni, preoccupazione, attenzione e preparazione al virus sono dovute soprattutto dalle autorità sanitarie; ma i cittadini devono cooperare attraverso l’uso di mascherine (soprattutto al chiuso), distanza e igiene delle mani a tenere l’incubo lontano. Né bisogna raccontare loro quelle che, in assenza di dati solidi, rimangono balle senza fondamento, circa malattia o virus cambiati, ambiguamente giocando sul fatto che oggi non vi è un problema sanitario di scala rilevante, per sostenere che il pericolo sia passato per sempre: perché non di bugie, ma di serietà hanno bisogno i cittadini. Sereni, ma vigili.