(foto LaPresse)

Come riaprire le scuole

Enrico Bucci

Gli esempi non mancano e ci dicono che è andata bene a quei paesi che hanno mantenuto regole severe

Si dibatte in questo periodo di quali debbano essere le modalità di riapertura delle scuole, e in particolare di quali siano le misure necessarie a diminuire il rischio di infezione per la categoria più esposta (gli insegnanti) e in generale il rischio di una ripresa dell’epidemia. Senza avere la pretesa di esaurire l’argomento, credo che un modo utile di affrontare la discussione possa essere quello di guardare a cosa è successo in quei paesi in cui le scuole sono rimaste aperte oppure in cui le scuole sono state riaperte dopo un’iniziale chiusura. 

 

 

Innanzitutto, la prima domanda a cui rispondere è: quali sono le misure che sono state adottate nei vari paesi per diminuire il rischio di contagio? Ho provato a fare un inventario, seguendo soprattutto un utile documento preparato all’inizio di luglio dall’università di Washington e diffuso nelle università americane, che analizza le misure messe in atto in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Israele, Giappone, Corea del sud, Nuova Zelanda, Norvegia, Scozia, Svezia, Svizzera, Taiwan e Vietnam. Per cominciare, considerata la diversa dinamica di circolazione virale per fascia di età e il diverso rischio per gli studenti stessi, molti paesi hanno differenziato in base all’età, riaprendo solo le primarie o solo le superiori a seconda del proprio giudizio, oppure riaprendo (o non chiudendo affatto) tutte le scuole. Una seconda misura implementata è stata la limitazione del numero di studenti per classe.

 

Indi, alcuni paesi hanno organizzato turnazioni giornaliere oppure giorni alternati, per diminuire il numero di studenti simultaneamente presenti. Alcuni hanno variamente introdotto l’uso della mascherina (per fascia di età, oppure solo per gli insegnanti eccetera). Indi è stato diversamente implementato il distanziamento fra gli alunni, l’igiene ripetuta delle mani, il controllo della temperatura corporea, i test diagnostici (Rna virale e anticorpi) e infine il tracciamento giornaliero dei contatti degli studenti.  

 

 

Si intende, ovviamente, che nessuno dei paesi considerati ha implementato simultaneamente tutte queste misure; questo ci consente di provare a definire, per quei paesi che hanno dichiarato l’esito delle misure implementate, come siano andate le cose, e vedere se possiamo ipotizzare quali siano le misure risultate sicuramente inutili e quali, forse, efficaci. Disponiamo dell’esito delle misure adottate per cinque paesi: Danimarca, Germania, Israele, Norvegia e Svezia. Per tutti questi paesi, alla data di riapertura vi erano stati fra mille e duemila casi di infezione per milione: dunque, si trovavano da questo punto di vista in situazioni non troppo dissimili. Si osserva che in Israele le cose sono andate male, con nuovi outbreak proprio nelle scuole, in Germania e Svezia si sono avute infezioni, ma solo fra gli studenti, e in Danimarca e Norvegia, almeno fino alla prima settimana di luglio, la riapertura delle scuole non ha avuto impatto sulla ripresa dell’epidemia.

 

In Germania, il test virologico degli studenti non ha impedito l’accendersi dei focolai: quindi questa tecnica va bene per il monitoraggio, ma non impedisce di dover poi chiudere le scuole. Il tracciamento dei contatti in Israele non ha avuto effetto: non si è contenuto il contagio in molte scuole. Nei paesi che hanno avuto successo (Danimarca e Norvegia), si osservano esattamente le stesse misure: accresciuta igiene delle mani, distanziamento fra gli alunni, riduzione del numero degli studenti in classe (da 12 a 15 studenti massimo), ma soprattutto la riapertura è stata limitata alle scuole primarie. La differenza fra la Germania, che ha aperto le scuole dei più grandi, e Israele, che ha aperto tutte le scuole, è consistita nel fatto che il contagio scolastico in Germania si è avuto al più fra gli studenti, e comunque in entità minore rispetto a Israele: questo perché Israele non ha adottato nessuna forma di distanziamento né alcuna altra misura, a parte le mascherine per i maggiori di 7 anni, che quindi, da sole, non bastano.

 

Questi sono elementi di fatto che dovrebbero essere utili alla discussione; un’analisi più approfondita è in corso, e spero di poter presto aggiornare i lettori.

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