(foto LaPresse)

Il ruolo dei modelli nella pandemia per non trovarci di fronte a un futuro imperscrutabile

Enrico Bucci

Paradosso: l’innesco imprevedibile del contagio ci permette di prevedere come si evolverà

Perché un virus, che è apparentemente arrivato in Italia già a dicembre, e che in molti altri paesi (Cina compresa) è rimasto a quanto sembra per molto tempo circolante, ma a livelli bassi, improvvisamente dà luogo a un’ondata di nuovi casi, producendo la saturazione dei sistemi sanitari locali, con il conseguente rapidissimo eccesso di mortalità?

 

La spiegazione più banale che viene spesso immaginata è quella di una mutazione locale o della sostituzione di un ceppo con un altro, ma al momento non vi sono ragioni per immaginare che sia andata così (piuttosto vi sono evidenze contrarie). In realtà, bisogna ricordare che le epidemie – e specialmente il loro innesco – sono fenomeni le cui caratteristiche appaiono difficilmente predicibili nel dettaglio.

 

In una pandemia, come fra gli altri ha ricordato l’infettivologo Stephen Kissler, piccolissimi cambiamenti dello stato iniziale di sviluppo di un singolo focolaio possono comportare evoluzioni nel tempo e conseguenze estremamente diverse. Gli scienziati hanno un nome per questo tipo di comportamenti: caos. Ora, la cosa curiosa che spero di far apprezzare al lettore è che sapere che l’innesco e l’andamento di una pandemia riflettono fenomeni caotici può aiutarci proprio a fare alcune previsioni, anche se di natura diversa da quelle cui siamo abituati. Inoltre, comprendere che il caos è alla base dello sviluppo di una pandemia, particolarmente nelle sue fasi iniziali, consente anche di comprendere perché l’incertezza che circonda il futuro di un’espansione virale non deve poi essere così paralizzante, portandoci al rifiuto della scienza epidemiologica.

 

Tuttavia, non solo una pandemia dipende nel suo sviluppo dalla variazione anche piccolissima delle condizioni iniziali, secondo le leggi del caos; il fatto è che queste variazioni avvengono di continuo, spontaneamente, e in maniera casuale. Vi è cioè un ruolo non solo del caos, ma anche del caso. Quali esempi possiamo fare di variazioni casuali, dalle quali l’espansione del virus può prendere le sue caotiche traiettorie? A Seul, una sola persona, in una sola notte, girovagando per locali notturni ne ha infettate almeno altre 54, dopo che l’epidemia era stata sostanzialmente allontanata. Cosa sarebbe successo se quella persona, quella sera, fosse stata trattenuta a casa, e si fosse recata negli stessi locali una settimana dopo? E quali caratteristiche fisiologiche – respiratorie e logopediche, ad esempio – e sociali di quella persona – quali per esempio la capacità del suo aspetto fisico di attirare interlocutori, la sua voglia di frequentare molti locali notturni, la sua rete di conoscenze e amicizie – hanno contribuito ad aumentare il numero di potenziali contatti efficaci in termini di trasmissione del virus? La persona con le caratteristiche giuste, al momento giusto dell’infezione, nei posti giusti e nelle condizioni ottimali è diventata un superdiffusore, attraverso la composizione non lineare degli effetti a loro volta non lineari dovuti a una miriade di tratti fisici e ambientali diversi. In queste condizioni, una piccola differenza nelle caratteristiche della giornata di questa persona, per esempio, avrebbe cambiato il corso delle cose; una situazione molto diversa dal quotidiano, in cui, per esempio, l’effetto delle variazioni giornaliere del nostro comportamento sociale come singoli individui è trascurabile. 

 

La cosa interessante è che, a quanto sembra, la maggioranza dei nuovi focolai epidemici di coronavirus è dovuta a soggetti superinfettivi: non conta cioè il numero medio di persone che ciascuno infetta, ma l’estrema variabilità, con i soggetti molto al di sopra della media che giocano il ruolo maggiore. Ma, dopo che per caso si è innescato un focolaio, cosa succede? Anche qui, altri fenomeni stocastici e il caos emergono in maniera evidente. Innanzitutto, è ovvio che se il focolaio si innesca in una piccola comunità chiusa – come un remoto paese cinese – le probabilità che si spenga senza avanzare oltre sono elevatissime. Tuttavia, potrebbe accadere che un paesano si rechi al mercato di Wuhan per vendere merce; ed ecco che lo scenario cambia di colpo. Inoltre, è possibile dimostrare come per questo coronavirus perché un focolaio abbia qualche probabilità di sopravvivere debba coinvolgere almeno circa una decina di persone; il che significa che le caratteristiche dei primi soggetti infettati – la loro capacità infettante – possono determinare il superamento di una soglia probabilistica di espansione del focolaio iniziale.

 

Solo allora, si assisterà all’irresistibile crescita esponenziale dei casi che abbiamo imparato a conoscere; per mesi, potrei avere focolai che continuamente si accendono, ma non raggiungono una “soglia critica” o, come nel tempo attuale, vengono rapidamente isolati (per autoisolamento o per monitoraggio).

 

Se a questa complessità si aggiungono ulteriori strati, dovuti per esempio alla capacità comunicativa e persuasiva nell’adottare misure di contenimento, al tipo stesso di misure adottate eccetera, si capisce cosa significa che l’andamento iniziale di una pandemia – quando e dove si riaccenderà il virus, per esempio – è un fenomeno governato dalle leggi del caos.
Si noti bene: non si tratta di mancanza di dati, ma di fenomeni intrinsecamente probabilistici, i cui esiti dipendono da variazioni piccolissime di una miriade di variabili diverse, le quali determinano sì l’andamento del sistema, ma non in una maniera tale che se ne possa determinare con certezza una delle caratteristiche che ci interessano di più – l’andamento temporale preciso – perché l’evoluzione a partire da quelle condizioni casuali è caotica, cioè non lineare ed estremamente amplificata. Questo è uno dei modi fondamentali in cui funziona il nostro mondo, non una nostra mancanza di accuratezza nelle misure.
Il punto interessante, tuttavia, è che sebbene il futuro dettagliato dell’epidemia sia avvolto nelle nebbie del caso e del caos, conosciamo bene gli ingranaggi che questo caos alimentano. La presenza del caos, che interessa lo sviluppo temporale dell’epidemia – la sua dinamica – non significa che non sappiamo nulla.

 

Sappiamo, in particolare, cosa è possibile e cosa no. Sappiamo che il distanziamento sociale, le mascherine soprattutto al chiuso, l’igiene delle mani ed altri fattori (per esempio lo stare più o meno all’aperto) influenzano il verso in cui evolverà una ripresa epidemica e la probabilità della stessa ripresa. Sappiamo che, allo stesso modo, i flussi di persone e le modalità del loro trasporto hanno un effetto chiaro sul rischio di ripresa.

 

Possiamo infine escludere che il virus sia scomparso, e sapere quindi che l’innesco di un nuovo incendio (non solo di tanti piccoli focolai) è sempre disponibile. Infine – e qui è il ruolo dei tanti vituperati modelli, criticati soprattutto da chi non li capisce – sappiamo come tutti questi, e altri ingranaggi, si combinano fra loro, per cui possiamo simulare le traiettorie di un’epidemia al variare delle condizioni iniziali, sia studiando il “peso relativo” degli ingranaggi, per concentrare i nostri sforzi su quelli a maggior influenza, sia valutando cosa può succederci al peggio, date le condizioni possibili di verificarsi. Caos significa che, nel tempo, la pandemia sceglierà una fra tante traiettorie possibili determinate dalle piccole variazioni casuali iniziali, traiettoria che non è possibile determinare; compito degli epidemiologi, dei matematici e di tutti i ricercatori è individuare l’insieme di tutte le traiettorie possibili e delle loro caratteristiche generali, escludendone quante più possibile dal novero degli scenari futuri.

 

Imbrigliare il caso e il caos, per evitare di trovarci di fronte a un imperscrutabile futuro fatto di tutti gli scenari possibili: questo, in poche parole, è il ruolo dei matematici e dei modellisti.