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Così Sars-CoV-2 ha fatto saltare il meccanismo di controllo della pubblicazione scientifica

Enrico Bucci

La ricerca ai tempi di Covid-19, anche quando pubblicata su riviste prestigiose, è a rischio di essere infettata da pseudoscienza, cattiva scienza, bias di ogni tipo

Come ricercatori, noi siamo premiati dalle citazioni che riceviamo dai colleghi. In un sistema che ho spesso criticato, chi riceve più citazioni, di base, vince tutto: carriera, finanziamenti, rispetto dei colleghi, inviti di prestigio.

Dovrei quindi essere contento ogni volta che qualcuno, in giro per il mondo, cita uno degli articoli di cui sono coautore. Eppure, ieri ho scoperto di aver ricevuto la citazione più vergognosa di tutta la mia vita professionale.

 

Su una rivista che nel suo settore gode di un discreto prestigio, di proprietà del maggiore editore scientifico al mondo (Elsevier), è stato pubblicato un articolo di pessima qualità, che vorrebbe supportare l’idea di una protezione fornita dalla vitamina D nei confronti di Covid-19. Ora, al di là dell’evidente pseudoscienza che infesta quell’articolo – il quale fa un pessimo servizio ai sostenitori della vitamina D – il testo che gli autori sono riusciti a far pubblicare contiene, dalla prima riga, uno strafalcione di dimensioni tali da dubitare che l’articolo sia mai passato attraverso il giudizio di qualche revisore anonimo: si afferma cioè che Covid-19 è causato da un virus influenzale.

 

Un errore, direte voi. Imperdonabile, ma un errore. Invece no: più avanti nel testo, il concetto è ribadito dagli autori, che insistono e portano a supporto un paio di pubblicazioni. E – qui viene il bello – io sono coautore di una di quelle pubblicazioni. Secondo gli autori, cioè, io – con i colleghi che hanno firmato un articolo su Covid-19 e risposta immune – sarei uno che ha detto che Covid-19 è causato da un virus influenzale.

 

Naturalmente, nel mio articolo non c’è traccia di una simile assurdità. In questo caso, quindi, ci si arruola a forza nelle file dei sostenitori di un’evidente assurdità scientifica, a nostra insaputa – perché ovviamente il fatto che io mi sia accorto della cosa è un caso – con lo scopo di fare apparire come condivise e supportate le madornali stupidaggini contenute in un articolo che mai avrebbe dovuto passare la peer review e finire pubblicato su una prestigiosa rivista Elsevier, con uno degli impact factor più alti nel suo settore (superiore a 5).

 

Questa storia, una volta di più, dimostra che Sars-CoV-2 è stato capace di far saltare anche il meccanismo di controllo della pubblicazione scientifica: la ricerca ai tempi di Covid-19, anche quando pubblicata, è a rischio di essere infettata da pseudoscienza, cattiva scienza, bias di ogni tipo, perché con la scusa di pubblicare cose che possano essere utili nell’emergenza, ognuno manda qualunque stupidaggine alle riviste; le quali, essendo sommerse di sottomissioni su un solo argomento, si affannano a tenere il passo, ma invece di alzare la guardia, rilassano pericolosamente gli standard per la pubblicazione.

 

La robaccia pubblicata anche su riviste prestigiose – come quella citata qui, come Lancet, come NEJM, come JAMA – finisce poi immediatamente rilanciata dai giornali e dai social media, esercitando così un’indebita pressione sulle istituzioni che sono coinvolte nella battaglia contro il virus, ma anche su medici, ricercatori e pazienti; ed il veleno dei dati falsi, che siano fraudolenti o semplicemente scarsi, aiuta il virus perché acceca la nostra reazione sommergendola di un mare di informazione poco controllata, costringendoci oltretutto a rincorrere non solo il virus, ma anche le falsità pubblicate su riviste scientifiche, per evitare che facciano altro danno.

Questo virus è davvero infernale: perché, oltre che i nostri corpi, ha evidentemente infettato anche i nostri cervelli, rinforzando i nostri bias, le nostre polarizzazioni ed in definitiva il nostro modo di pensare più sbagliato e meno utile a fronteggiarlo.

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