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Il Covid non è uno show

Enrico Bucci

Ormai la discussione scientifica è diretta da notizie condivise per mezzo dei media. Ed è un problema

Nell’ambito degli ultimi clinical trial di cui si sono avute notizie, il vaccino di Moderna funziona, il Tocilizumab non funziona, la clorochina non funziona, il desametasone funziona. Queste quattro affermazioni, di capitale importanza sia per quanto riguarda il modo in cui possiamo organizzarci per fronteggiare il coronavirus Sars-CoV-2, sia per quanto riguarda almeno nei primi due casi le fortune azionistiche delle aziende produttrici, sono state diffuse su tutti i media – stampa, televisione, social. E naturalmente hanno sortito effetti, certamente in Borsa, forse pure sulle scelte dei medici. Ora, il punto è che in nessuno dei casi abbiamo ottenuto queste informazioni da una pubblicazione scientifica, rivista dalla comunità scientifica, né abbiamo alcun accesso ai dati per potere valutare le dichiarazioni fatte.

 

Aifa, Nih, autorità inglesi e studiosi di vario calibro e importanza hanno tutti speso parole sicure e mostrato certezze, ma noi tutti – inclusi i ricercatori che non hanno partecipato agli studi – siamo lasciati a discutere senza potere verificare né ciò che è stato detto, né se ci siano problemi nei dati e negli studi, e neppure tutti quei particolari utili a inquadrare meglio una discussione su temi clinici di importanza così ampia e di necessità così sentita.

 

Credo che non vi sia dimostrazione più lampante del fatto che ormai persino la discussione scientifica viene diretta da notizie condivise per mezzo dei media, invece che da dati; quel che è peggio, quando arriveranno le pubblicazioni corrispondenti a ciò che si è enunciato, proprio perché nessuna verifica indipendente è stata ancora condotta dalla comunità dei ricercatori non coinvolta negli studi e al massimo 2-3 persone avranno potuto valutare i dati, si potrebbe verificare il caso (già accaduto per esempio per la clorochina) che gli studi si dimostrino fragili e che persino riviste scientifiche prestigiose siano costrette a tornare sui propri passi.

 

Questo modo di procedere, a colpi di comunicati e conferenze stampa, è francamente inaccettabile, soprattutto adesso che abbiamo bisogno di indicazioni solide contro un nemico pericoloso. Non si capisce perché istituzioni di solito sobrie, bastioni del conservatorismo e della prudenza scientifica come quelle coinvolte in questi casi, si comportino invece come agenzie di comunicazione e marketing, anticipando risultati, ma senza fornire dati solidi e completi perché si possano pesare le affermazioni rilasciate.

Staremo a vedere quando usciranno gli studi, se reggeranno lo scrutinio della comunità scientifica; e vedremo se, nel frattempo, mentre taluni rilasciano dichiarazioni – per esempio sul Tocilizumab – altri non pubblicheranno lavori solidi, persino su riviste importanti.

 

Per il momento, resta la sensazione dell’ennesimo avventato show comunicativo, che sebbene possa essere animato dalle migliori intenzioni, di fatto rende palese l’abbandono della solidità che ci si aspetta nella comunicazione scientifica in favore della rapidità e della novità; un veleno che ormai ha già dato ampia prova di essere mortale per la ricerca, se lasciamo che si diffonda nel modo in cui sta avvenendo.

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