(foto LaPresse)

Punire con il carcere gli spacciatori "recidivi" servirà solo a sostituirli, non a eliminarli

Adriano Sofri

Il proposito del ministro Lamorgese potrebbe far tracimare le galere di nuovi detenuti in custodia “cautelare”

La signora ministro dell’Interno, Lamorgese, che allontana da sé le tentazioni partitiche, ha dalla sua un’esperienza professionale e un riconosciuto buon senso. Doti che sembrano ambedue tradite dal proposito di modificare le norme in vigore (già effetto di una correzione costituzionale) così da attuare la reclusione in carcere per i responsabili recidivi di piccolo spaccio. Vecchia storia. L’attributo di “recidivo” è pressoché pleonastico per i piccoli spacciatori, italiani o stranieri, che sono pressoché sempre anche consumatori e tossicodipendenti. Lo spaccio è il loro modo di procurarsi la sostanza. E chi è povero e consuma sostanze di qualunque genere non lo fa una volta sola, e non è granché dissuaso dalla minaccia del carcere. La ministra vuole affrontare lo scandalo, sentito dai cittadini e soprattutto dalla polizia, di uno spacciatore denunciato e rivisto la mattina dopo all’opera. Con la misura che la ministra propone, cittadini e polizia avrebbero la consolazione di vedere una faccia nuova allo stesso posto la mattina dopo e ogni giorno dopo, e la galera tracimare di nuovi detenuti in carcere “cautelare”, aggiunti a quelli, giovani i più, che già affollano per un terzo le scandalose carceri italiane.

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