(foto LaPresse)

Le leggi razziste e la retromarcia sulla "restituzione"

Adriano Sofri

Il fascismo nelle terre “redente” impose il cambiamento di tutti i nomi dei luoghi e dei nomi e cognomi delle persone, anche quelli di origine ebraica. Ma poi nel 39 si trovò nell'imbarazzo di ricostruire i precedenti

Com’è noto, il fascismo nelle terre “redente” dopo la Prima guerra mondiale, il Trentino e il Sud Tirolo, il litorale adriatico, impose il cambiamento di tutti i nomi dei luoghi e dei nomi e cognomi delle persone (anche i morti, qua e là). Chiamò la cosa “restituzione”, come se i nomi tedeschi o sloveni o croati non fossero stati che deformazioni di una originaria forma italiana. Nella “restituzione” furono coinvolti anche nomi e cognomi ebraici. Finché arrivarono le leggi razziste, e allora le autorità si trovarono nell’imbarazzo di dover ricostruire i precedenti. Copio un documento del 29 dicembre 1939, ai prefetti di Trieste, Gorizia, Pola, Fiume, Udine, Belluno, Trento, Bolzano. “L’art. 2 della legge 13 luglio 1939, XVII, stabilisce che i cittadini italiani appartenenti alla razza ebraica… che avessero mutato il proprio cognome in altro che non riveli l’origine ebraica, debbono riprendere l’originario cognome ebreo… Conseguentemente a tale disposizione le EE.LL. provvederanno alla revisione dei cambiamenti di cognome, disposti con provvedimento prefettizio in base alla legge 1° febbraio 1926, n. 17, per la riduzione dei cognomi in forma italiana, e provvederanno alla revoca del provvedimento stesso e alla restituzione dell’originario cognome ebraico nei confronti degli appartenenti alla razza ebraica”. “Urge”.

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