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Ora la tentazione è solo affar nostro

Adriano Sofri

La versione italiana corretta del Padre Nostro entra nel Nuovo Messale, mettendo alla prova il rapporto tra i credenti e il loro Dio

Dunque la versione italiana corretta del Padre Nostro entra nel Nuovo Messale, e dal 29 novembre prossimo sarà seguita obbligatoriamente in tutte le messe. Fino ad allora, i celebranti e naturalmente i fedeli continueranno ad attenersi alla versione tradizionale o impiegheranno già la nuova: “Non abbandonarci alla tentazione”. Il lungo intervallo – il cambiamento è annunciato da tempo – aiuterà ad appropriarsi di un significato, oltre che di un suono, capace di mettere alla prova oltre che l’abitudine un’idea del rapporto fra i credenti e il loro Dio. L’obiezione alla forma italiana, e a quella latina che traduce letteralmente (ne nos inducas in tentationem), vuole accentuare la premura paterna verso gli umani e allontanare da Dio una partecipazione alla tentazione, che è affare di satana, il suo Pubblico Accusatore. Così tuttavia toglie al peccatore l’attenuante, se non di una correità, di una corresponsabilità del Creatore con le creature, fatte limitate e tentate. C’è, nella vecchia traduzione, una consolatoria ritorsione dell’idea di essere stati fatti a immagine e somiglianza di Dio: che Dio sia – un po’ – a nostra immagine e somiglianza. Ora la tentazione è solo affar nostro, e di quel Pubblico Ministero invadente. Possiamo solo sperare, pregare di non essere abbandonati. E non è detto. Perfino quel Figlio prediletto fu preso dallo sconforto nell’ora nona: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Naturalmente ci sono migliaia di pagine a spiegare che Dio non si abbandona. Ma forte è la tentazione di prendere le parole alla lettera, e aggrapparvisi.

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