(foto LaPresse)

Lapo Elkann e la rarità di dirsi "buoni"

Adriano Sofri

Avevo orecchiato le notizie avventurose su di lui, poi l'ho visto e ascoltato in televisione, e m'è rimasta la cosa che ha detto: quasi non la considerasse una qualità, solo una circostanza utile a spiegare il resto

Ho visto e ascoltato Lapo Elkann in televisione, e poi ho guardato in rete qualche informazione sul suo conto. Avevo ogni tanto orecchiato le notizie avventurose su di lui, di quelle che divertono e allarmano uno spettatore distratto: simpatico, qualcosa doveva pur fare per divincolarsi, speriamo che la cosa non vada a finire male. Ora fa della beneficenza, ama l’Italia e l’Europa, dice delle cose strampalate, tutto normale. Ma l’ho sentito dire: “Io sono buono”, la frase più difficile e rara da pronunciare, e rarissimo è che chi l’ascolti pensi: “Dev’essere vero”. Sarà per il modo in cui l’ha detto, che non rivendicava la cosa come una qualità, e nemmeno come un difetto, piuttosto come una circostanza utile a spiegare il resto. Come uno che dicesse: sono alto, gioco a basket. Sono buono, cerco di fare cose buone. Il cielo l’aiuti. Direte: con quel nome… Non occorre, l’ha già detto lui, “Col mio nome…”. E se gli succeda che a qualcuno, nei suoi paraggi, scappi detto non abbastanza sottovoce “Povero idiota!”, conto che Lapo abbia letto il libro (suo padre gliel’avrà pur raccomandato) e se no lo legga ora e si rallegri del meraviglioso riconoscimento. Stando attento, certo, a farla finire meglio che a quell’altro principe.

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