(foto LaPresse)

Come interpretare le ultime notizie dall'Iraq

Adriano Sofri

L'abbandono di Kirkuk da parte dei militari americani, il calo del prezzo del petrolio e gli effetti della pandemia. Quanto durerà?

Caro Daniele R., il petrolio a 20 dollari e l’abbandono di Kirkuk da parte dei militari americani sono notizie difficili da interpretare, per me. Il 30 marzo la base aerea K-1, a Kirkuk, è stata trasferita dai 300 militari americani che ancora la occupavano alla Brigata 61, delle forze di sicurezza e antiterrorismo irachene, alle quali comunque si uniscono anche le forze già “paramilitari” Hashd al-Shaabi. Altre basi importanti erano state lasciate, ma Kirkuk è, da ogni punto di vista, una posta altrimenti significativa. Ieri notte il cielo di Kirkuk è stato ininterrottamente solcato da voli militari americani a bassa quota. Contemporaneamente gli americani hanno installato le batterie di missili Patriot sia a Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno, che a Ayn al Asad, nel governatorato di al Anbar, Iraq occidentale sunnita. Il tracollo del prezzo del petrolio è un colpo durissimo per le bande armate sciite filoiraniane, che si finanziano coi proventi dei loro pozzi, e a tariffe già ribassate dal contrabbando. E’ un colpo anche per l’economia curda, naturalmente, e riaccende le rivalità fra i partiti di Erbil e Suleimaniya e i loro notabili, che speravano di averle regolate distribuendosi i pozzi secondo il manuale Cencelli delle loro dinastie. La crisi sociale prodotta dalle chiusure anti epidemia è pesantissima, in una regione in cui il taglio di stipendi e salari era da anni la norma.

 

Tutto ciò avviene mentre il contagio del coronavirus sconvolge la vita dei territori e l’Isis, specialmente a sud di Kirkuk e a Tikrit, accresce il suo reclutamento e le sue incursioni. Si affacciano disegni geopolitici ambiziosi, come un’espansione delle tribù sunnite dell’Anbar patrocinate e addestrate dagli americani, spinta fino a Baghdad da una parte e a comprendere, oltre Mosul, l’Esercito libero siriano dall’altra, verso una ipotetica Federazione sunnita col patrocinio giordano, che riserverebbe la piana di Ninive alle minoranze cristiane, yazide e altre. Disegno che interporrebbe un ostacolo alla penetrazione iraniana in Siria, e sarebbe naturalmente ben visto dal governo di Israele. Tutto questo sembra contraddire il ritiro americano dalla regione, anche se la presenza si affida ora a presidii militari più concentrati, muniti e pronti a portare colpi improvvisi, e a una delega politica agli esponenti sunniti, come il giovane presidente del Parlamento iracheno, Mohammed al-Halbousi, oltre che a vecchi superstiti baathisti (sunnita è anche il ministro della Difesa dell’inesistente governo iracheno, al Shammari, che ha anche cittadinanza e residenza svedese, e altre incresciose pendenze svedesi che ne fanno una caricatura). Pandemia, collasso economico e sociale in Iran, collasso politico nell’Iraq sciita, e il resto come sappiamo: che cosa durerà, e quanto?

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