Volti e lezioni di virologi e immunologhe. Parlino ora, digiuneranno poi
Giuseppe Remuzzi e Antonella Viola sono in testa a questa mia personale classifica
Alla fine ognuno di noi avrà la sua personale classifica di virologhe e virologi, anestesisti, immunologhe, epidemiologi, rianimatrici. E dopo aver cercato di imparare e capire il più possibile – che avventuroso corso di istruzione per adulti è stata questa pandemia – si sarà regolato sulle fisionomie, i gesti, il modo di parlare (e specialmente il modo di parlare degli altri), eccetera. Succede di rado, essendo la televisione occupata da politici, opinionisti mancati, e opinionisti, mancati politici. Si conosce qualche sismologo, qualche geologo, in occasione dei terremoti, che in Italia sono frequenti ma troppo locali, e durano poco. Si conoscono un po’ di storiche e di storici, comprese le nuove leve, nel programma di Mieli. I campioni di altre categorie, anche le più seducenti, come gli astrofisici o le militari sminatrici nelle missioni internazionali, compaiono di rado, e anche allora parlano piuttosto di altro. Poeti niente. Un posto di riguardo nella mia classifica ce l’ha il professor Luciano Gattinoni, faccia di uno che ha molto vissuto e moltissimo rianimato, e musicista troppo inascoltato, tipo da Paolo Conte a Göttingen.
Giovedì sera sono stato a guardare, a “Piazza Pulita”, Giuseppe Remuzzi e Antonella Viola. Io conobbi il professor Remuzzi in carcere. In carcere ero io, lui in televisione, quella volta che andò da Adriano Celentano per riparare a certe idee spericolate di Adriano sulla donazione degli organi. Argomentò così bene, e Celentano riparò così bene, che l’Italia, fino al 2000 nelle ultime posizioni sulla donazione, dopo quelle due puntate balzò al secondo posto. Dunque Remuzzi conserva uno dei primi posti nella mia classifica, specialmente dopo che giovedì sera l’ho sentito raccontare, con circospezione, che i malati di Covid-19 non sono più così terribilmente malati come nella fase precedente, e che non sa ancora come spiegare il fenomeno, ma è sicuro che stia succedendo. Gran bella faccia anche la sua, ora che ha passato i settanta, quasi da padre di Indiana Jones. Interlocutrice di Remuzzi era l’immunologa Antonella Viola, ho smesso di guardarla attorno a mezzanotte, qualche ora dopo cercavo di dormire e l’ho sognata che mi rispiegava possibilità e azzardi della terapia del plasma, e mi raccomandava ancora di lavarmi bene le mani, ricordandomi il dottor Semmelweiss, e le dicevo che lo sapevo, avevo letto anch’io Céline tanto tempo fa, ma ero sveglio e lei stava parlando a Radio 3. Mi guardo dal criticare la quantità di tempo che queste prestigiose persone di scienza dedicano alle apparizioni pubbliche, perché è il momento di farlo: digiuneranno poi, per tornare al peso forma, e speriamo che non ne soffrano la mancanza. (La professoressa Viola aveva già replicato a qualche importuno che lei lavora di norma 14 ore al giorno e che questo non le impedisce di apprezzare le discoteche). “Io credo ciecamente nel professor Remuzzi”, ha detto, e naturalmente non è vero, nessuno scienziato crede ciecamente, e così dovrebbe essere anche per la gente di tutti i giorni, ma il suo era un gentile riconoscimento, grato a noi del pubblico. Se non fosse per inevitabili cambi d’abito, Antonella Viola starebbe in una sessione permanente sul suo divano domestico, il braccio destro sul bracciolo, l’altro lungo il corpo, una calma Cleopatra con 152 pubblicazioni specialistiche. Ho visto con gioia che è nata, nel 1969, a Taranto: i tarantini stanno prendendosi belle rivincite, in tutti i campi, ed era ora. Un passaggio della sua smagliante carriera si compì a Basilea, in un prestigioso centro di immunologia. Fu accolta da luminari candidati al Nobel, dice, che andavano pazzi di parlarle di Maria Grazia Cucinotta. Poi migliorarono. Non ho idea di quali siano le sue idee politiche, non m’importa. Si è impegnata in ricerche che hanno a che fare col cancro, e con malattie di bambini. La sua tesi di dottorato era sugli effetti dei metalli pesanti sul sistema immunitario del pescegatto. Copio da una bella vecchia intervista a Elle: “Non avevo mai tenuto una provetta in mano. Ho passato tre anni a catturare i pesci nelle vasche, lavandomi dalla testa ai piedi, per poi addormentarli, effettuare prelievi e analisi. Una fatica pazzesca. Per avere solo qualche pubblicazione su una rivista scientifica di scarsa importanza del settore ittico”.