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No panic, ma un po' anche sì. Le imprese e il coronavirus

Daniele Bonecchi

L’asse Lombardia-Cina vale decine di miliardi nei due sensi di marcia. Numeri e analisi

Il grande timoniere questa volta si è fermato. La Cina è bloccata e con lei sta rischiando una brutta frenata, che non ha ancora l’aria del tracollo e forse non lo sarà, l’economia planetaria. E dunque l’economia italiana. E dunque anche, se non soprattutto, le imprese lombarde che al grande mercato d’oriente partecipano nei due sensi di marcia: l’export ma anche l’approvvigionamento di prodotti, materiali, semilavorati.

 

Dopo le previsioni annunciate ieri proprio a Milano per il settore moda in vista delle sfilate, anche i primi dati generali dalle aziende segnalano preoccupazione. “Speravamo di proseguire, anche se a scartamento ridotto, con la produzione, invece ora abbiamo dovuto sospenderla fino a lunedì prossimo”, spiega ad esempio Marco Bonometti, amministratore delegato della OMR, un gruppo industriale internazionale nella meccanica per automotive, con oltre 3.450 dipendenti, un fatturato di 770 milioni e che ha aperto da tempo una fabbrica a Huixian, in Cina. All’estero OMR ha altri cinque stabilimenti, di cui due in Brasile, e in Marocco, in India e Usa. Il “contagio” – per questa come per altre imprese lombardo-globalizzate – è un rischio da evitare. “La situazione è in evoluzione, anche perché si cerca di limitare gli spostamenti delle persone, dei lavoratori, che arrivano da tante province. I mezzi pubblici sono bloccati, i camion non circolano. Oggi tutte le fabbriche della zona sono chiuse. Tutti aspettano che la situazione si normalizzi”. Le istituzioni italiane? “L’unica cosa da fare, ora, sono gli aiuti sanitari, compresa la ricerca di un vaccino efficace. Ma non bisogna drammatizzare perché in molti casi i pazienti colpiti dal coronavirus sono guariti. Noi contiamo di ricominciare a produrre il più presto possibile, perché abbiamo le commesse del mercato cinese da soddisfare”, conclude con ottimismo Bonometti che, in qualità di presidente di Confindustria Lombardia sta censendo i problemi e le necessità del sistema industriale padano.

 

“Siamo moderatamente ottimisti che entro una settimana la situazione per le nostre aziende che collaborano con la Cina possa rientrare”, spiega invece il vicepresidente di Regione Lombardia, Fabrizio Sala, che ha una ampia delega per Ricerca, Innovazione, Università, Export e Internazionalizzazione. “Niente allarmismi, ogni giorno monitoriamo la situazione per affrontare le possibili conseguenze”. Per Emanuele Orsini, presidente di FederLegnoArredo, che ha scommesso sul mercato cinese portando il design italiano a Shenzhen per offrire opportunità di business alle aziende associate e spalancare le porte della Cina al mondo dell’arredo made in Italy, la prossima settimana sarà cruciale. Perché dovrà mettere le carte in tavola e fare i conti, per l’edizione 2020 del Salone del Mobile (21-26 aprile), con l’effetto coronavirus. Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della Moda, in vista delle sfilate punta con ottimismo, sulla campagna “China, we are with you”, realizzata con l’obiettivo di costruire un ponte tra i due paesi, portando la Milano Fashion Week in Cina, attraverso live streaming e la rete dei social come il Foglio ha raccontato nell’edizione di ieri), ma l’effetto coronavirus non sarà indolore.

 

L’insieme del mondo imprenditoriale manifesta insomma preoccupazione, ma no panic. Sei imprenditori su dieci si aspettano conseguenze, resta un terzo di ottimisti. Fino ad ora non ci sono avvisaglie o contraccolpi negli affari per quasi la metà delle aziende, ma l’altra metà circa ha già avuto alcune conseguenze limitate. Un’azienda su sei ha fonti dirette dalla Cina con cui segue aggiornamenti giudicati soddisfacenti. ma circa la metà, se la situazione fosse prolungata, potrebbe avere una riduzione del suo business estero. E’ quanto rileva un’indagine di Promos Italia, l’agenzia nazionale delle Camere di commercio per l’internazionalizzazione, insieme ai numeri della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su oltre 200 imprese già attive sui mercati esteri sentite a gennaio 2020. “Dalla nostra indagine emerge che alcune conseguenze per il business delle nostre imprese in Cina sono già tangibili – spiega Alessandro Gelli, direttore di Promos Italia – e che la preoccupazione per l’evoluzione degli affari nei prossimi mesi è alta. La maggioranza delle imprese intervistate, infatti, ritiene che, se la situazione non migliorerà, i rapporti economici con la Cina potranno ridursi. Detto ciò – prosegue Gelli  – la maggior parte delle imprese ritiene che le informazioni a oggi disponibili siano ancora troppo frammentarie e confuse per poter calcolare con chiarezza le ricadute che questa emergenza avrà sui loro affari nel breve-medio periodo”.

 

La partita è importante. E’ di oltre 13 miliardi in nove mesi l’interscambio lombardo con la Cina, sui 34 miliardi italiani. La regione rappresenta infatti più di un terzo del totale nazionale (38,7 per cento). L’import da solo vale circa 10 miliardi sui 24 nazionali (41 per cento) e l’export 3 miliardi su 9 (33 per cento). Le importazioni sono in crescita sia in Lombardia (+2,2 per cento) che in Italia (+5,4 per cento). In flessione l’export che consiste soprattutto in macchinari, ma aumenta a livello regionale quello di prodotti alimentari (+8,6 per cento), articoli farmaceutici (+5,5 per cento) e abbigliamento (+4,2 per cento. Poi c’è il fronte interno, rappresentato dal sistema turistico e dall’economia della ristorazione. Secondo una indagine dell’Istituto Demoskopika nel 2020 l'emergenza potrebbe generare un segno negativo per l’incoming turistico italiano, con una contrazione della spesa di ben 4,5 miliardi di euro, circa il 5 per cento del settore. La comunità cinese che si rispecchia nella Chinatown meneghina – ma che ovviamente non ha più tra quelle vie il suo core business – è in allarme da giorni, e la buon volontà dei milanesi (sindaco in testa) a frequentare i ristoranti cinesi non è, da sola, sufficiente.  “Non esistono pericoli nel frequentare ristoranti o negozi cinesi. Non dobbiamo cambiare le nostre abitudini e dobbiamo mandare messaggi positivi. Sarebbe utile aprire un tavolo di confronto e immaginare ammortizzatori sociali per le imprese che stanno vivendo un momento di difficoltà” dice Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, che denuncia nei circa 5.000 ristoranti cinesi una perdita di fatturato del 70 per cento (2 milioni di euro al giorno). E anche Giovanna Mavellia di Confcommercio Lombardia invita alla cautela: “Il tessuto delle imprese lombarde che operano in Cina o che esportano nel paese sta reagendo bene, è solo questione di tempo”.

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