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Coronavirus, così l'Oms ha sgonfiato la bolla dei farmaceutici

Mariarosaria Marchesano

In calo tutti quasi tutti i titoli che a fine gennaio avevano registrato rialzi record, mentre reggono le azioni dei produttori di apparecchi diagnostici e videoconferenze. Casarano (Intermonte): “Le borse hanno già superato la paura del virus” 

Tra gli effetti collaterali del coronavirus c'è stato anche un inizio di bolla speculativa sui mercati finanziari, che in parte, però, si è già sgonfiata. Rialzi record sono stati registrati a fine gennaio soprattutto a Wall Street e per i titoli di alcuni gruppi farmaceutici che hanno avviato test per individuare vaccini e antivirali in grado di combattere l'infezione. Ora, però, che l'Organizzazione mondiale della sanità ha spento l'entusiasmo dei ricercatori universitari cinesi affermando che al momento non esistono terapie efficaci contro il coronavirus, perché potrebbero passare anni prima che le terapie possano essere sperimentate sull'uomo, anche gli investitori si sono raffreddati facendo in alcuni casi precipitare le quotazioni che erano arrivate a livelli stellari.

 

“Il fenomeno dei rialzi incontrollati ha riguardato singoli casi visto che l'indice del settore farmaceutico, che raggruppa 40 tra le maggiori aziende del mondo, ha guadagnato solo pochi punti da quando è scoppiato il virus”, dice al Foglio Antonio Cesarano, responsabile delle strategie d'investimento di Intermonte Sim, “Si è trattato di movimenti speculativi spesso correlati agli annunci di nuove cure. Dunque, occorre distinguere il caso singolo dall'andamento del comparto nel suo complesso, sul quale, comunque, il fenomeno coronavirus sta avendo un impatto positivo, a differenza di quanto è accaduto nel 2003 con la Sars. Dal 12 dicembre 2002, quando c'erano stati i primi casi, a fine marzo del 2003, quando il contagio cominciava a calare, l'indice dei farmaceutici perse decisamente terreno e ancor di più tutto l'azionario a livello globale”.

 

Ma che cosa è successo al prezzo delle azioni delle società che hanno avuto l'exploit a fine gennaio? A distanza di una settimana il quadro è cambiato. Ecco qualche esempio: la società biotech americana Co-Diagnostic, che alla fine del mese scorso sembrava a un passo nello sviluppo di un test in grado di rilevare il virus in un paziente, ha raggiunto un picco di 3,4 dollari il 28 gennaio per poi precipitare a 2,4 dollari il 6 febbraio a cavallo delle dichiarazioni dell'Oms. E il titolo di Vir Biotchnology, la clinica specializzata di San Francisco che in pochi giorni aveva visto una crescita del 90 per cento arrivando a oltre 26,6 dollari per azione il 31 gennaio, ha visto scendere il prezzo a circa 20 dollari. Ancora, la Novavax, altro specialista di vaccini, era arrivata a quotare quasi 10 dollari per poi scendere poco sopra il valore attuale di 6 dollari. E Allied Helthcare, che produce maschere e altri prodotti respiratori, ha letteralmente dimezzato i guadagni messi a segno in una folle corsa culminata a 4,5 dollari il 27 gennaio (oggi vale 2,3 dollari).

 

Tutte e quattro le società sono quotate al Nasdaq, il listino tecnologico della Borsa di New York, che è tra i più dinamici del mondo e non sorprende che l'euforia cresca anche sull'onda delle dichiarazioni al mercato. Ma il fenomeno non ha riguardato solo Wall Street. Alla Borsa di Parigi, per esempio, il gruppo francese Novacyt, produttore di apparecchiature diagnostiche cellulari, ha iniziato a salire a partire dal 10 gennaio, quando era a 0,20 euro, solo che in questo caso la corsa non si è mai fermata e la società è arrivata a raddoppiare il proprio valore (0,5 euro nella seduta del 6 febbraio). Evidentemente, gli investitori credono che il tipo di prodotti realizzati da Novacyt possano comunque beneficiare del diffondersi della pandemia. Lo stesso vale per la canadese Alpha Pro Tech (apparecchiature protettive per infezioni), che ha visto un rialzo del proprio valore di borsa del 70 per cento nel giro di meno di due settimane e non accenna a scendere. Anche attività collaterali che hanno suscitato l'appetito degli investitori, com'è successo per la società di videoconferenze Zoom, letteralmente sommersa da una pioggia di ordini di acquisto al punto che il ceo, Eric Yuan, ha dichiarato di essere stato costretto a spegnere il telefono (il prezzo delle azioni è passato da 73 a 86 dollari nel giro di 10 giorni). Dunque, la grande euforia si si sta affievolendo e reggono le posizioni i produttori di beni collaterali in qualche modo utili ad affrontare la crisi. Ma come mai le borse hanno superato così in fretta la paura del coronavirus tornando praticamente ai livelli antecedenti al virus di Wuhan? Per Cesarano, la spiegazione sta nell'attesa di una nuova ondata liquidità. “A differenza del periodo della Sars, quando la politica monetaria era molto meno espansiva, oggi i mercati sanno che quando arriva un momento di crisi, ci sono le banche centrali pronte a intervenire. Nel 2003, durante tutto il periodo in cui durò l'influenza Sars, le borse accusarono perdite diffuse perché c'era un altro contesto economico mondiale e dei tassi d'interesse. Il paradosso è che oggi le brutte notizie vengono presto superate dall'ottimismo fino alla crisi successiva”. 

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