Sono giorni di numeri – “quanti contagi oggi?”, “quanti morti?”, e mai nessuno che chieda: quanti dimessi? Sono giorni di bulimia di notizie, spesso anche inutili, di errori e di bufale. Ecco: sono i giorni delle bufale, perché niente più di un nuovo virus, e quindi misterioso perfino per la scienza, rimanda a una natura imprevedibile ed evocativa, quasi letteraria. Vale tutto. Il nemico è invisibile e non è nell’aria – com’era a Chernobyl e a Fukushima, per esempio. Il nemico è negli altri. Il terrore della pandemia è il terrore del vicino di tavolo al ristorante, della persona che ci si siede a fianco sull’autobus, colpisce l’uomo nel suo istinto più umano: quello sociale. Il pregiudizio nei confronti della comunità cinese, più in generale asiatica, sta aumentando un po’ ovunque nel mondo. A Hong Kong, in Vietnam, in Corea del sud e Giappone (e a quanto pare anche in Italia) sono apparsi dei cartelli davanti a negozi ed esercizi commerciali: i cittadini cinesi non sono benvenuti. Facile scivolare nel razzismo, ma il pregiudizio nasconde anche un tema chiave in questa ennesima emergenza globale dichiarata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Si tratta della Cina e del suo sistema, a fasi alterne esaltato oppure demolito, specialmente in occidente. Kerry Brown, docente al King’s College di Londra ed ex diplomatico inglese in Cina, ha detto al Washington Post che “questo potrebbe essere il cigno nero cinese, quando è in gioco la fondamentale legittimità del partito. E’ il momento in cui il Partito comunista cinese dovrebbe mostrare i meriti di un sistema molto controllato e coordinato e il suo ruolo nel contratto sociale. Invece le persone sembrano sempre più inquiete”.
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