Si sgonfia a metà la “bolla” dei titoli collegati all'influenza cinese
Si spegne l’euforia in Borsa per le case farmaceutiche che studiano i vaccini, mentre s’impennano gli ordini per le mascherine
Milano. “Il mondo sta affrontando una carenza di mascherine e altri dispositivi di protezione contro il nuovo coronavirus”. L’avvertimento è arrivato ieri dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che due giorni prima aveva gelato i ricercatori cinesi affermando che al momento non esistono terapie efficaci contro il coronavirus e che potrebbero passare anni prima che i farmaci in via di sperimentazione possano essere somministrati all’uomo.
Gli interventi dell’Oms hanno indirettamente contribuito a chiarire il quadro della domanda potenziale di beni sul mercato e gli investitori di Borsa più speculativi ne hanno approfittato per riposizionarsi. Con il risultato che l’inizio di bolla finanziaria che per alcuni giorni ha riguardato un po’ tutti i titoli collegati all’influenza cinese si è sgonfiata a metà: i titoli farmaceutici e biotecnologici hanno cominciato a perdere posizione dopo i rialzi record registrati a fine gennaio, mentre le società che producono apparecchiature diagnostiche o protettive stanno ancora andando a gonfie vele, come dimostra il caso del gruppo francese Novacyt, che ieri sulla Borsa di Parigi ha guadagnato il 21 per cento arrivando a 0,6 euro per azione rispetto al prezzo di 0,2 euro registrato il 10 gennaio, prima che scoppiasse il virus.
In questo contesto, c’è da valutare anche l’impatto che potrà avere una misura come quella adottata dalla Banca centrale cinese che, per affrontare la scarsità di prodotti utili a contenere il contagio, ha istituito un fondo speciale di 43 miliardi di dollari destinato ai produttori di “risorse chiave” correlate al virus come maschere e sterilizzatori. Inoltre, il ministero delle Finanze ha concesso un’esenzione fiscale sempre per la fornitura e la consegna di questi beni. Non è escluso che tali agevolazioni possano alimentare i valori delle società dell’area asiatica attivi in questi settori. Parallelamente, a Wall Street si sta spegnendo l’euforia che aveva portato alla folle corsa di un gruppo di titoli farmaceutici. Rispetto a 10 giorni fa c’è molta meno euforia. Per esempio, il prezzo delle azioni della società biotech americana Co-Diagnostic, che alla fine del mese scorso sembrava a un passo nello sviluppo di un test in grado di rilevare il virus in un paziente, dopo aver aggiunto un picco di 3,4 dollari il 28 gennaio, è sceso sotto i 3 dollari tra il 6 e il 7 febbraio dopo le dichiarazioni dell’Oms. Il titolo di Vir Biotchnology, la clinica specializzata di San Francisco che in pochi giorni aveva visto una crescita del 90 per cento superando 27 dollari per azione il 29 gennaio, ha visto scendere le sue quotazioni a circa 20 dollari. Ancora, la Novavax, altro specialista di vaccini, era arrivata a quotare quasi 10 dollari il 22 gennaio per poi ripiegare ieri poco sopra il valore attuale di 6 dollari. E Allied Healthcare ha letteralmente dimezzato i guadagni messi nel rally culminato il 27 gennaio a quota 4,5 dollari (oggi vale 2,2 dollari). Tutte e quattro le società sono quotate al Nasdaq, il listino tecnologico della Borsa di New York, che è tra i più dinamici del mondo e non è una novità che l’appetito degli investitori cresca anche sull’onda delle comunicazioni al mercato.
Evidentemente, in questa fase si crede meno nella possibilità di individuare un antidoto alla pandemia in tempi brevi e di più nei business collaterali, come quello delle società di videoconferenze che consentono a tante aziende cinesi che hanno i dipendenti in quarantena di continuare a lavorare grazie al fatto che si possono collegare a distanza. Non è un caso che la società Zoom sia stata letteralmente sommersa da una pioggia di ordini di acquisto al punto che il ceo, Eric Yuan, ha dichiarato nei giorni scorsi di essere stato costretto a spegnere il telefono (e il prezzo delle azioni del titolo quotato al Nasdaq è passato da 73 a 88 dollari nel giro di 10 giorni).