Sinfonia berlinese

Mariarosa Mancuso

L’elogio della città e dei suoi ritmi datato 1927: ché la campagna è buona per la villeggiatura, non per la vita

Bisogna decidere. Ogni tanto, almeno. Sulle cose che contano. Non si può un giorno dare l’addio a Alberto Arbasino come se ci avessero appena strappato un pezzo di cuore (è stato questo l’effetto). Salvo poi, svoltata una settimana o due, mettere like e cuoricini ai video con gli animali che si sarebbero “ripresi la città”, camminando sulle strisce o le piste ciclabili – scivolamento da “fallacia patetica” avrebbe detto Ruskin (Arbasino avrebbe afferrato subito: succede quando attribuite sentimenti alla natura, al lupo, o ai sette caprettini). Noi del team Arbasino siamo per gli scoiattoli a Central Park: possono stare, se non disturbano i grattacieli.

 

La campagna è tutta vostra, buona per la villeggiatura ma non per la vita. In crisi da astinenza, abbiamo rivisto “Berlino - Sinfonia di una grande città”, girato nel 1927 da Walter Ruttmann (sul sito della Cineteca di Milano). Gran celebrazione della vita berlinese, quando Billy Wilder aveva 21 anni e faceva il giornalista, arrotondando con prestazioni da ballerino a tassametro. Si comincia con il treno che arriva in stazione, l’orologio sulla torre del municipio segna le cinque di mattina (e ricorda un altro film che sarebbe perfetto per la quarantena, “The Clock” di Christian Marclay: 24 ore di frammenti cinematografici che segnano sempre l’ora giusta, sarebbe l’occasione per vederlo dall’inizio alla fine, purtroppo l’ultima volta l’abbiamo avvistato alla Tate Modern).

 

I passeggeri (campagnoli giustamente risucchiati dalla città) scendono e si avviano verso le rispettive occupazioni. Il metronotte finisce il giro, tram e metropolitane cominciano a riempirsi – guardiamo con una certa invidia, tutto quel che verrà dopo è anche peggio. Le ciminiere sbuffano, i macchinari si mettono in moto, il latte viene imbottigliato, il suonatore d’organetto è già pronto con il cappello. L’altoforno fa il suo dovere, il panettiere sforna pagnotte e panini. I pacchi di giornali vengono portati alle edicole. I postini escono con la tracolla a fare le consegne.

 

Solo un po’ di musica d’accompagnamento, il ritmo è dato dal montaggio. Il cinema era giovane, ma per niente sprovveduto. Un paio d’anni dopo, da un’idea di Billy Wilder che aveva cominciato a fare lo sceneggiatore, sarebbe arrivata la versione “scampagnata”: “Uomini di domenica” segue un tassista e altra gente di Berlino nella gita domenicale a Wannsee. Ma a noi piace la città piena di gente, quindi torniamo a Berlino che manda i bambini a scuola, la servitù al mercato, i negozianti in bottega. Le automobili e le carrozze a cavalli rispettano lo stop, fianco a fianco (e scattano appaiate).

 

La sinfonia berlinese dura poco più di un’ora, e ne concentra 24. Nelle città si lavora e ci si diverte, escludendo qualsiasi forma di contemplazione diversa dal guardare la gente e le vetrine. C’è la pubblicità, il luna park, i cinema e i teatri di varietà, i locali da ballo, la partita di hockey (più che altro, neve pressata). La campagna e il natio borgo selvaggio arrancano distanziatissimi.