Leonardo DiCaprio e Brad Pitt in una scena di “C'era una volta a Hollywood” di Quentin Tarantino

Consigli per la quarantena - 40

Cara vecchia Hollywood

Mariarosa Mancuso

Era un postaccio e speriamo continui a esserlo. Suggerimenti per rifarsi gli occhi e il gusto

Una cosa mai perdoneremo a Netflix. L’aver interrotto il circolo virtuoso che rendeva le serie migliori (a loro è giusto chiedere tutte le migliorie possibili, paghiamo e lo spettatore ha sempre ragione). Tutti gli episodi di una stagione liberati lo stesso giorno generano partenze di serie lentissime, impermeabili all’indice di ascolto che il giorno dopo il debutto puniva o celebrava. Il pilot era fatto per sedurre lo spettatore, fargli conoscere i personaggi e convincerlo a guardare il resto (quando sarebbe arrivato). Già che siamo in tema: avete notato anche voi che il binge watching, ora che abbiamo tempo da perdere, non diverte più come prima?

 

A giudicare dal primo episodio, la mini-serie “Hollywood” di Ryan Murphy (passato da Fox a Netflix con un contratto da 300 milioni) racconta aspiranti attori e sceneggiatori che per mantenersi a Los Angeles fanno marchette. Servono i maschi, le signore e Cole Porter che attende nella roulotte già senza calzoni. Dirige il traffico l’intraprendente proprietario di una pompa di benzina. Siamo negli anni 40, il magnaccia vero si chiamava Scotty Bowers e ha raccontato tutto, con i nomi, nel memoir “Full Service”. E’ morto quasi centenario – il vizio mantiene giovani – e si è fatto intervistare in un incredibile documentario di Matt Tyrnauer. Se interessano i gigolò a hollywoodiani tanto vale risalire alle fonti.

 

Dopo 45 minuti siamo solo a metà, l’episodio “Viva Hollywood” era così lungo che l’hanno spezzato in due. Dopo una ricca sfilata di pettorali e quadricipiti, di canottiere e mutande candide, Ryan Murphy arriva finalmente al punto. Dare voce a chi non l’ha avuta (esiste una minaccia più tremenda quando un regista o uno showrunner annuncia il suo progetto? la risposta è no, e finora non esistono controesempi). E quindi, regalare un lieto fine a chi non l’ha avuto – come Peg Entwistle, l’attrice così depressa per la brusca fine di un contratto con la Rko che nel 1932 si suicidò buttandosi dalla scritta “Hollywoodland” (il “land” sparisce nel 1946, indicava un progetto immobiliare).

 

Per rifarsi gli occhi e il gusto, i film su Hollywood non mancano. Un paio almeno sono a portata di mano. Quentin Tarantino racconta gli anni Sessanta, quando cominciò a innamorarsi pazzamente del cinema, in “C’era una volta a Hollywood” (su Sky on demand e Now Tv). Favola per favola – ma almeno – questa è dichiarata nel titolo, segue l’attore di western ormai in declino Leonardo DiCaprio e il suo stuntman Brad Pitt. Incrociano Sharon Tate, e disgraziatamente anche Charles Manson con le sue adepte. Più divertente ancora è “Ave, Cesare” dei fratelli Coen (su Chili). George Clooney con i calzari e il gonnellino da antico romano viene tramortito e rapito da un set. Si risveglia in una villa, dove una cellula di sceneggiatori comunisti gli spiega la lotta di classe. Lui ha sempre l’aria da idiota che gli viene benissimo. Hollywood era un postaccio, e speriamo continui a esserlo. Deve produrre film, per cambiare il mondo rivolgersi a Greta. Vale anche per Ryan Murphy.

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