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Deviazioni vitali

Mariarosa Mancuso

Finalmente le letture d’evasione. Una su tutte: capire perché ci vuole così tanto a riparare una scala mobile

Abbiamo tutti lo stesso problema. Trovare qualcosa di non noioso da fare. Trovare qualcosa di non noioso da scrivere (vale, naturalmente, per chi non sta in prima linea). Fa eccezione il quotidiano australiano Nt News, che ha scelto un altro modo per rendersi utile. Era appena cominciata l’emergenza, e siccome tutto il mondo è paese (tranne la Svezia, pare) gli scaffali venivano presi d’assalto. Soluzione: pubblicare otto pagine bianche perché potessero fungere da carta igienica.

 

Siccome abbiamo tutti lo stesso problema, la London Review of Books ha inaugurato una newsletter intitolata “Diverted Traffic” (più o meno: deviazioni). Cinque giorni alla settimana pesca dall’archivio un articolo di pura evasione, senza accenni a epidemie o quarantene, di svelta e piacevole lettura (qualità che non tutti gli articoli della rivista possiedono, se non siete specialisti di qualcosa).

 

Qualche giorno fa c’era sul menu un articolo sul tema “Perché ci vuole tanto a riparare una scala mobile?” (chi abita a Roma meglio che smetta di leggere qui, più avanti decliniamo ogni responsabilità). Si scoprono tante cose sulla metropolitana di Londra, forte di 400 scale mobili spinte alla massima velocità consentita. Dal 1944 vige la separazione tra walk & stand: chi cammina per dare un aiutino e chi sta impalato – per dire, a Milano ci siamo arrivati molto dopo l’anno 2000. Sono garantite al 98 per cento, e può capitare che in effetti qualcuna ogni tanto si rompa anche lì (non si è mai sentito di stazioni chiuse per mesi senza neppure una voce gracchiante che avvisi il viaggiatore).

 

Il romanzo delle scale mobili si intitola “L’ammezzato”, lo ha scritto Nicholson Baker. Purtroppo non lo si trova in ebook, come troppi titoli non usciti l’altro ieri (editori, fate uno sforzo). Risale al remoto 1988, e sarebbe perfetto oggi: tutto avviene nel tempo di una salita, neanche di molti piani ma verso il mezzanino di un palazzo dove il giovanotto protagonista fa l’impiegato. Mette il piede sul primo scalino, in mano ha un sacchetto con un paio di stringhe nuove, comprate nell’intervallo di pranzo. Due stringhe, anche quella rotta era una soltanto. Da lì inizia un ossessivo ragionamento sul perché le stringhe non si rompono mai insieme. Poi sullo spreco di cartoleria negli uffici, la forma delle pinzatrici, la necessità di spazzolarsi per bene la lingua, e qualsiasi cosa capiti a tiro. 130 pagine per salire mezzo piano di scale. Mai un minuto di noia.

 

Nicholson Baker qualche questione aperta con il tempo la deve avere. Un altro suo romanzo, intitolato “La pausa”, racconta di un giovanotto che schioccando le dita ha il potere di bloccare il mondo intorno a lui – come un fermo immagine, ma in tre dimensioni. Il timido impiegato ne approfitta per fare il voyeur (e qualcosa di più). Spoglia le donne, le accomoda in posizioni che in questi tempi puritani non si potrebbero neanche immaginare – il romanzo è del 1994. Nel 2002 Robert Zemeckis progettava di ricavarne un film scritto da Neil Gaiman. S’intende, dopo averlo ripulito per bene dalle scene scabrose.