La pillola della felicità

Mariarosa Mancuso

I “Racconti” di Saki è un libro che si può abbandonare e poi riprendere quando serve, come fosse un cordiale

Ci sono libri che danno la felicità. Non solo la felicità di avere trovato chi ci intrattiene per ore senza chiedere niente in cambio, potendo essere silenziato quando pare a noi (siete di quelli che finiscono sempre i libri cominciati? Vi sbagliate, da finire era il cibo nel piatto, per rispetto ai bambini meno fortunati di noi). Una felicità molto vicina all’euforia, che sfida qualsiasi circostanza avversa. La quarantena, i festival che spariscono, la prospettiva di non potersi allegramente provare un vestito quando finalmente usciremo.

 

La pillola della felicità si chiama Saki, pseudonimo di H. H. Munro, che ebbe pure un’infanzia infelice ma è scrittore troppo educato per lamentarsene nei suoi racconti. Era nato in Birmania, affidato dopo la morte della madre a due zie inglesi di campagna: fa i conti con loro, e con l’intera società edoardiana (nato nel 1870, è morto nel 1916) inventando situazioni di rara perfidia. E battute che ricordano Oscar Wilde (ma solo perché lo abbiamo letto prima di scoprire Saki) quando dice: “Perdere un genitore è disgrazia, perderne due è distrazione”. Così ben intrecciate con la piana descrizione dei fatti che una volta lette non si dimenticano più. Provate a resistere, se riuscite, alla ricca dama che “portava i suoi gioielli come se ne avesse molti altri a casa”. Potrebbe stare in una commedia di Noël Coward. O in una canzone di Cole Porter.

 

I “Racconti” di Saki sono usciti dal Saggiatore. La confezione da 664 pagine, per oltre cento racconti, può sembrare massiccia (la prigionia finirà prima o poi, e se avete letto tutto quel che avete fotografato sui social dovreste essere in overdose). Ma non scadono, si possono riprendere in mano appena serve quel che una volta si chiamava cordiale. Insomma, un cicchetto che tiri un po’ su. Sotto il titolo “La reticenza di Lady Anne”, troviamo la più precisa descrizione di un dopo-litigio coniugale: “Egbert entrò nel soggiorno con l’aria di un uomo che non ha ben capito se sta facendo il suo ingresso in una piccionaia o in una fabbrica di bombe, ed è preparato per entrambe le eventualità”. Altro non si può dire per non guastare la sorpresa, perché Saki oltre a saper cominciare i racconti li sa finire (arte che si sta perdendo, ahimè, si preferisce lasciare l’incombenza al lettore).

 

“La finestra aperta” è un altro racconto difficile da dimenticare, a metà tra la storia dell’orrore e la celebrazione degli abbellimenti che l’arte del racconto opera sulla realtà. Le tirchie signorine Smithly-Dubb hanno la loro giusta punizione in “Il pranzo fantasma”. Vanno per scroccare un invito da chi non ne vuole sapere – “Elargire ospitalità è come portare a estremi disdicevoli i princìpi del Cibo Gratuito”, sentenzia Lady Drakmanton, che era contro il reddito di cittadinanza senza saperlo. La sostituisce un’amica agghindata come lei, che a metà pranzo finge un’amnesia: “Chi diavolo sono? Non ne ho la più pallida idea”. Proprio mentre la vera Lady Drakmanton entra nel ristorante, e lo spaventoso conto finisce sul tavolo delle signorine.