Diventare migliori
La “redenzione post virus”, dopo la riapertura delle librerie, passa anche per Netflix, con “Living with Yourself”
L’insistenza sul “ne usciremo migliori” non smette di far danni. Ha coinvolto le librerie, gradino imprescindibile nella scala al paradiso culturale. Caldeggiato da chi non prende i libri dai banconi, non legge i risvolti di copertina (sappiamo che son bugiardi, ma la tentazione resta), non li apre (quando sono sprovvisti del maledetto cellofan) per leggere la pagina 69 e giudicare. Attendiamo fiduciosi le regole per disinfettarli – a secco, prendendoli uno a uno, e oddio magari il cliente curioso ha messo le manine non guantate anche su quelli negli scaffali (a fine giornata il libraio si fa un bel pianto, in silenzio & solitudine, come il ragionier Fantozzi nella sua stanzetta: se si sapesse in giro, sarebbe additato come nemico della cultura).
Nella serie Netflix “Living with Yourself”, Paul Rudd sceglie la via più breve. Invece di leggere i classici – da cui si capisce che i romanzi bene non fanno, Madame Bovary si ammazza e Don Chisciotte diventa matto – va in un centro “estetico” suggerito da un collega. Nessuna insegna fuori, solo il passaparola dei clienti soddisfatti. Cerca una versione migliore di sé – una 2.0, magari ancora più avanzata – e dopo qualche peripezia scopre di essere stato clonato.
“Peripezia” significa che si è risvegliato avvolto nella plastica, malamente seppellito in un bosco. Esce dal domopak in mutande, fa chilometri per tornare a casa e viene assalito in cantina da un giovanotto identico a lui. Accade nel primo episodio. Nel secondo (di 8) vediamo Miles – così si chiama il giovanotto – nella perfetta incarnazione del cuorcontento. Fa fermare la macchina in aperta campagna, cammina dentro un campo di granturco (ecco spiegati finalmente i cerchi nel grano), cucina vegano, si chiede “cosa faccio io qui?” durante le riunioni di lavoro. E piscia multicolore (i clonatori coreani lo avevano avvertito: “Non guardare nel water”).
Trama classica che più non si potrebbe. Gli sdoppiamenti fantastici – o i più naturali gemelli – son sempre serviti per rallegrare le farse, per spaventare nei racconti dell’orrore, per mettere in guardia dal male che sta dentro di noi. Dai cattivi pensieri che in “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” di Robert Louis Stevenson venivano “coagulati” fuori dal corpo del dottore e scienziato Henry Jekyll. Liberi di girare a Londra di notte calpestando bambine (e altre turpitudini). E’ un doppio il ritratto nella soffitta di Dorian Gray, che invecchia al posto suo (anche nel romanzo di Oscar Wilde i delitti son parecchi).
Serviva tutta l’ideologia del “diventare migliori” perché una trama simile fosse ridotta a uno stracotto (irriconoscibili anche i registi, Jonathan Dayton e Valerie Faris di “Little Miss Sunshine”). Il clonato riprende gusto alle piccole cose che nella vita danno la felicità (tra cui c’è anche la consorte). Il clone serve per qualche occasionale gag, mentre si strugge per non esser nato “d’uomo e di donna”. Sa di avere ampi margini di miglioramento. Ne avremo la certezza quando andrà in libreria. Con la mascherina e la lista: uno Stevenson, un Oscar Wilde.