Riscoprite le risate assurde dei Monty Python

Mariarosa Mancuso

Sono abbastanza eccentrici da fare dimenticare la tristezza e gli allarmi dei telegiornali

Comici, comici che sono la salvezza di chi sta sul divano (anche quando non è l’unica cosa possibile, in alternativa con le cipolle da tritare per il soffritto, se qualche cipolla è rimasta in casa). Per andare sul sicuro, in cima alla lista sta “Hollywood Party” di Blake Edwards, che però non compare né su Netflix né su Amazon — vergogna: Amazon propone soltanto cotillon per una festa a tema hollywoodiano, prezzo 12 dollari ma al momento non ce la possiamo permettere. Peter Sellers che da solo distrugge un party a cui l’hanno invitato per sbaglio (su un set, per allacciarsi la scarpa, ha rovinato una scena che non si poteva girare una seconda volta, il suo nome era destinato alla lista nera) fa ridere anche se l’abbiamo già visto tante volte. L’attore era truccato da indiano, con la faccia marroncina di cerone: un brividino extra in questo mondo di permalosi & suscettibili, mai per loro ma per la comunità.

 

Più comodi da raggiungere sono i Monty Python, il loro “Flying Circus” sta su Netflix. Andava in onda sulla Bbc, dal 1969 al 1974, ecco perché il formato è quadrato e i colori sono spenti. Lo abbiamo rivisto a campione, per constatare la tenuta delle gag, gli anni passati sono tanti (e l’amore che abbiamo per loro potrebbe accecare). Reggono benissimo. Di questi tempi hanno anche un’altra preziosa qualità. Sono comiche che puntano sull’assurdo, eccentriche rispetto al mondo, quindi perfette per non evocare tristezze, telegiornali, allarmi. In una puntata di venti minuti ce ne stanno tre o quattro, annoiarsi è difficile. Chi non ride guardando il ministero delle Camminate sceme, o i parrucchieri gay che scalano l’Everest, si rubano gli asciugacapelli e impiantano lassù un salone di bellezza, finita l’emergenza dovrebbe farsi visitare da uno bravo.

 

Capita anche ad Amleto, che in uno sketch scende da un'auto sportiva e con i capelli da paggetto entra furtivo nello studio di uno psicoanalista. Si sdraia sul lettino, si lamenta che tutti vogliono sentire da lui “essere o non essere”. “E’ un problema sessuale”, dice lo strizzacervelli numero uno, mimando tette gigantesche e cosce spalancate. Entra dalla porta lo psicoanalista numero due, tratta da impostore il precedente e si accomoda al capezzale del tormentato principe, anche lui degenerando sulle tette. Irrompe un terzo, che caccia il precedente. “Ha superato il test di disorientamento”, annuncia trionfante, “lo facciamo per instaurare un rapporto di fiducia con il paziente”. 

 

Siamo andati a controllare le gag storiche, come il riassunto di Proust, “Alla ricerca del tempo perduto”, da ridurre a 15 secondi “prima in costume da bagno e poi in abito da sera”, come nei concorsi delle miss. Regge benissimo, ma se non amate gli sketch dichiaratamente sconnessi, sono a disposizione anche i film con una parvenza di trama. Per esempio “Brian di Nazareth” (palestinesi litigiosi, già allora) o “Monty Python e il Sacro Graal”, libera e spassosa rilettura di Re Artù. Sconsigliabile “Brazil” di Terry Gilliam, l’americano del gruppo. Le distopie vanno evitate con cura.

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