Una stanza per il coronavirus
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Roma. Che crudele ironia esser costretti in casa come hikikomori, ed esserlo per il nostro bene, dopo che per anni abbiamo lanciato allarmi sociali, pure quelli per il nostro bene, temendo che hikikomori diventassimo tutti, rilevandone l’aumento vertiginoso, tanto che a un certo punto quasi ci era parso che hikikomori si stesse prendendo a nascere, che fosse una deviazione genetica. E adesso dobbiamo ricrederci, dobbiamo cercare i lati positivi della reclusione, del vivere nascosti e non per preservarci dal tedio e dalla corruzione della vita associata di modo da non compromettere la nostra felicità come prescriveva Epicuro, signori, qua il fine è assai più pragmatico, semplice semplice: dobbiamo rintanarci per avere salva la pelle, nostra e degli altri. Non c’è più gusto a esser misantropi, solitari, asociali, tutte cose splendidamente amorali nel mondo ante coronavirus, e adesso, invece, sommamente morali, etiche, necessarie. Utili. E niente è più nemico della libertà dell’utilità.
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