Momenti di essere

Sandra Petrignani

Dove sono le autobiografie di donne?, si chiedeva Virginia Woolf nel 1940. Eccone un inizio

In ogni giornata il non essere è molto più che l’essere… Si cammina, si mangia, si vedono delle cose, si provvede alle nostre incombenze; l’aspirapolvere rotto; il pranzo da ordinare; la nota della spesa per Mabel; il bucato….”: non erano destinati alla pubblicazione gli scritti autobiografici che Virginia Woolf si decise a buttar giù su insistenza della sorella Vanessa negli ultimi anni della sua vita (altri, però, ne aveva scritti in epoche precedenti) e che furono raccolti e dati alle stampe dopo oltre trent’anni dalla morte della scrittrice con il titolo “Momenti di essere”. Eppure sono così tanto “woolfiani” da poter essere letti come importante preambolo all’opera.

 

Tornano adesso in libreria per Ponte alle Grazie (290 pagine, 18 euro) con una nuova introduzione di Liliana Rampello in un momento in cui l’interesse editoriale per la narratrice e critica inglese si è fortemente riacceso (presso le lettrici, a dire il vero, non si era mai spento…). La casa editrice Bompiani, per esempio, ha affidato negli ultimi anni la nuova traduzione di tre importanti titoli (i racconti “Lunedì o martedì”, il romanzo “Orlando”, i saggi “Londra”) a uno scrittore, Mario Fortunato, che dice di aver imparato dal contatto ravvicinato con questa autrice “la complessità”; mentre Giovanna Granato è attualmente alle prese, per lo stesso editore, con la spinosa traduzione dei cinque volumi dei “Diari”, impresa scandalosamente mai tentata prima, di cui vedremo la pubblicazione del primo volume in autunno.

 

Come mai, si chiedeva Virginia nel 1940, non c’era mai stata un’autobiografia “alla Rousseau” scritta da una donna? E rispondeva per “la castità e la modestia” che sempre si sono pretese da lei… (poi, quando le donne sono state libere di scrivere in massa, l’eccesso autobiografico è diventato un difetto continuamente rimproverato…). Così si mette a buttare giù appunti a futura memoria, quando avrà il tempo e la voglia di misurasi lei con quel tipo di autobiografia. Purtroppo si è uccisa prima di poter mettere mano a un’opera del genere.

 

I “momenti di essere”, gli unici per cui valga la pena di vivere, quelli in cui non siamo distratti dalla routine e siamo invece in contatto profondo con noi stessi e con le cose, riceviamo emozioni, accumuliamo ricordi, sperimentiamo illuminazioni, si dipanano in questo libro meraviglioso in indimenticabili ritratti (il padre, la madre, i fratelli, la prescrittiva società vittoriana, e poi gli amici geniali, i bloomsburiani che possono frequentare l’Università di Cambridge mentre le donne ne sono escluse; e poi le tante case abitate, quella della famiglia con le sue regole rigide, i suoi lutti, le sue incomprensioni, e le case della libertà dove Virginia va a vivere con sorella e fratelli e dove il tempo s’impiega in interminabili, colte discussioni, e quella matrimoniale che diventa anche una casa editrice…). E’ un libro, questo, che fa vivere in diretta il rapporto vita/scrittura e quando, per esempio, la Woolf ricorda la morte precoce della madre “siamo ammessi anche – osserva Liliana Rampello – al cuore di ‘Al faro’, non perché la signora Ramsey sia la madre, ma perché quell’esperienza di vita, l’esperienza materna, ha tracciato l’emozione fondamentale su cui ha potuto creare il ritratto della sua protagonista”.

 

Per questa stessa stretta connessione fra vita e letteratura, la traduttrice dei “Diari”, si trova ora a procedere nel suo lavoro in costante parallelismo fra quel che Virginia annota delle sue giornate, dei suoi pensieri, dei suoi incontri, e quel che andava scrivendo nei libri: una cosa illumina l’altra. “E’ un’impresa complicatissima” mi dice Giovanna Granato “perché la Woolf fa sempre riferimento a cose pratiche più che parlare di sé. Non c’è introspezione, ma realtà (e la realtà dei suoi tempi in Inghilterra è lontanissima dai nostri giorni qui). Oltretutto, almeno nel primo volume, scrive solo per sé, non pensa che sarà letta da altri, e quindi i riferimenti sono spesso cifrati, misteriosissimi. Il diario è un prato dove può correre libera: e però i libri che aveva scritto (solo “La crociera” del 1915 e “Notte e giorno” del 1920) sono spesso di aiuto”.

 

In “Momenti di essere” succede un po' la stessa cosa. Confortata dall’idea di star solo “prendendo appunti”, Virginia corre libera in un altro prato e procede per sensazioni e reminiscenze, si circonda di fantasmi, rischia senza saperlo di diventare profetica. Come quando dice: “Il passato ritorna soltanto quando il presente scorre così liscio da parere la superficie mobile di un fiume profondo. Allora si vede attraverso la superficie fino in fondo”. E al lettore consapevole viene in testa inevitabilmente un altro fiume, molto concreto, il fiume Ouse in cui, il 28 marzo del 1941, decise di annegarsi.

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