(foto LaPresse)

Come funziona la politica in quarantena? Un viaggio da remoto

Valerio Valentini

Riunioni al Mise con tecnologia non avveniristica, procedure da cambiare e democrazia digitale senza la fuffa di Casaleggio

Roma. Che con le procedure telematiche ci sia qualche imbarazzo, deve essersene accorto anche Stefano Patuanelli. Il quale, costretto dalla quarantena volontaria a restarsene nei suoi uffici del Mise, mentre firmava provvedimenti che avevano a che fare con l’intelligenza artificiale, scopriva che il modo non esattamente avveniristico con cui gli veniva permesso di partecipare a distanza al consiglio dei ministri consisteva in uno smartphone messo nella sua postazione abituale all’interno della stanza circolare di Palazzo Chigi.

 

Dunque figurarsi se qualcuno si sia stupito più di tanto, tra i membri del governo, davanti all’apprensione con cui, di buon mattino, i capigruppo di maggioranza alla Camera hanno dovuto chiamare alcuni dei loro deputati e ordinargli di precipitarsi a Roma. Sì, perché il gentlemen agreement raggiunto la scorsa settimana prevedeva che, onde evitare i rischi del contagio, a votare lo scostamento di Bilancio sarebbero venuti solo 350 onorevoli, nel rispetto delle proporzioni tra i vari gruppi. Sennonché, la notizia della positività al coronavirus di Claudio Pedrazzini ha scombussolato tutto: perché i suoi vicini di banco sono stati invitati a restare a casa, e così anche i suoi colleghi di commissione. Qualcun altro s’è preso paura, ed ecco che è stata richiesta la mobilitazione delle truppe di riserva, reclutate anche tra gli eletti del nord che, a scopo precauzionale, inizialmente dovevano starsene lontani da Montecitorio. “Quello che stiamo vivendo in questi giorni – allarga le braccia Federico D’Incà, ministro per i Rapporti col Parlamento finito investito da questo caos procedurale – cambierà la nostra vita futura sotto molti profili. Indubbiamente anche rispetto alle istituzioni e al loro funzionamento, sarà importante fare una riflessione su come consentire i lavori anche in situazioni imprevedibili ed emergenziali”.

 

Il capogruppo di Leu, Federico Fornaro, aveva suggerito il voto telefonico, coi deputati che segnalavano a dei commessi le loro intenzioni. Macché, bocciato. “E dire che, se si lavorasse con accortezza, basterebbe agire solo in sede di giunta per il Regolamento”, spiega Salvatore Curreri, esperto di diritto parlamentare all’Università di Enna. “E’ con una modifica regolamentare, ad esempio, che il Parlamento catalano ha introdotto anni fa il voto telematico. Gli eletti possono partecipare ai lavori dell’Assemblea anche a distanza”. Il che, evidentemente, è tornato utile per i leader indipendentisti finiti in carcere. “Ma l’istanza era stata inizialmente avanzata – precisa Curreri – da alcune deputate in maternità”. Certo, servirebbe una “piattaforma sicura”, e le smanie di protagonismo di Davide Casaleggio, sempre pronto a promuovere il suo colabrodo di Rousseau, non aiutano. “Ma le resistenze all’innovazione delle procedure, in Italia, vengono anche dalla classe parlamentare”, dice il giurista Carlo Fusaro, docente all’Università di Firenze. “Anni fa, bastò che Berlusconi si dicesse ammiratore del sistema neozelandese, dove è ammesso il voto per delega affidato ai capigruppo, perché si gridasse al golpe. E invece si dovrebbe acconsentire a un maggiore sviluppo della partecipazione telematica ai lavori d’Aula, nel 2020”, argomenta Fusaro. Nel mentre che però, davanti all’ingresso dell’emiciclo di Palazzo Madama, alcuni senatori provano a trattenere Luigi Zanda: “Si era detto solo sei per gruppo, durante la discussione”. E invece Zana entra lo stesso. “Io capisco alcune remore: si tratta comunque di un luogo, il Parlamento, che ha una sua sacralità”, ragiona Curreri. “Capisco meno, però, le urla di chi ogni volta si scandalizza. Le innovazioni procedurali servono proprio a rendere le istituzioni più solide nel tempo che cambia, trovando con pragmatismo le soluzioni migliori. Altrimenti si rispettano le tradizioni, ma si complica la vita a deputati e senatori. Fiat iustitia et pereat mundus, insomma. Non mi sembra una grande strategia”.

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