Arriva l'orto verticale. Non un grattacielo, ma agricoltura per il futuro

Fabiana Giacomotti

Poco fuori Milano c'è l'orto più grande d'Europa, in grado di produrre insalata risparmiando acqua e terra. L'idea di due quarantenni milanesi di buona famiglia e ottimi studi

Ignoranti come siamo nonostante il nostro quasi-veganismo, nel momento in cui hanno parlato di un “orto verticale” alle porte di Milano abbiamo pensato a qualcosa di simile al celebre Bosco di Stefano Boeri, diciamo una colonna alta sessanta metri di insalata e piante di pomodori Pachino rampicanti, dove avremmo potuto prendere casa e ogni giorno affacciarci dalla finestra, afferrare un cespo e buttarlo croccante nell’insalatiera. Il cespo di Planet Farms sarà comunque facile da prendere; il resto di questa iniziativa nata da due quarantenni milanesi di buona famiglia, di ottimi studi e di quel genere di gavetta senza sconti che si fa appunto nelle buone famiglie è più fantascientifico e meno favolistico di quel che si immagina, in quanto la verticalità indica il processo di coltivazione. La superficie dell’orto si estende infatti in orizzontale, all’uscita di Cavenago Cambiago, casello esteticamente svantaggiato della Milano-Venezia (chiesotta para-romanica a sinistra del cavalcavia, avrete presente) per l’equivalente di quarantacinque campi da tennis che lo rendono il più grande del continente. E’ nascosto in una costruzione ecosostenibile in via di finalizzazione, e le insalate e le erbe aromatiche che vi cresceranno sono coltivate in idroponica grazie a un accordo dei due – che rispondono al nome di Luca Travaglini e Daniele Benatoff – con Signify (ex Philips Lighting) per l’illuminazione a led con sistema di controllo “growWise”, e Netafim per l’irrigazione.

 

In questa Italia che non smette di stupirci per la voglia di fare e di innovare a prescindere da qualunque Stato generale, le insalate entrano nell’orto nella versione primigenia del seme e ne escono fragranti in sacchetto consumando il 98 per cento di acqua in meno rispetto alle consorelle coltivate in campo e innaffiate senza risparmio di acqua e il 90 per cento di superficie. Meno terra, infinitamente meno acqua, nessun problema di trasporto o quasi. Miracoli della fotosintesi, che Travaglini ha avuto modo di sperimentare in Giappone, qualche anno fa, osservando gli impianti di coltivazioni idroponiche nate dopo il disastro di Fukushima. In quel momento, lui aveva il suo disastro personale da superare, nella forma di un tumore che l’aveva colpito a trentacinque anni, di cui oltre dieci trascorsi a seguire le attività di famiglia, leader mondiale negli impianti per l’asciugamento, l’affumicazione e la stagionatura di salumi, formaggi e prodotti ittici.

 

L’idea di applicare il processo in Europa gli è venuta lì. Poi ci sono voluti gli studi ad hoc, l’apertura di un centro di sperimentazione e ricerca dove adesso lavora un team di 25 persone fra ingegneri e biologi e naturalmente un piano economico-strategico. I 25 milioni di euro necessari per partire sono arrivati, dice, in parte dalla famiglia e in parte da una cordata di soci strategici italiani e stranieri, perché l’obiettivo di Travaglini e Benatoff, ex Goldman Sachs ora angel investor di start up ad alto potenziale, è di costruire altri cinque stabilimenti in Europa, compresa la Svizzera e il Regno Unito, entro i prossimi cinque anni. Si parte a gennaio 2021, obiettivo 70 mila confezioni al giorno. Poi arriveranno fiori e frutta.