(foto LaPresse)

A2A ferma al confine

Mariarosaria Marchesano

Perché rischia di saltare, causa campanilismo politico, l’accordo tra multiutility che guarda al Veneto

Sarà una coincidenza, ma proprio nel periodo in cui sono cambiati i vertici di A2A – Renato Mazzoncini ha preso il posto di Guido Camerano come amministratore delegato e Marco Patuano quello di Giovanni Valotti alla presidenza – in quel di Verona ha preso corpo l’idea di lanciare un “market sounding” per vagliare possibili soluzioni alternative alla multiutility milanese come partner nella fusione tra la veronese Agsm e la vicentina Aim. A nulla è valso far notare che un sondaggio di mercato – proprio quello fatto dall’advisor Roland Berger, nominato dalla due società venete – aveva individuato in A2A l’operatore più adatto a integrarsi nel progetto. L’esclusiva concessa alla società milanese, dopo un lavoro certosino di tessitura di relazioni locali che i bene informati attribuiscono soprattutto all’ex presidente Valotti, ora tornato a insegnare in Bocconi, sembra improvvisamente non essere più una certezza, un punto fermo sigillato da accordi preliminari tra le parti. Ma solo un’ipotesi da rivalutare alla luce di contatti con altri soggetti del settore: l’emiliana Hera in primo luogo, che in questa partita è sempre stata alla finestra, ma anche Dolomiti Energia, Iren e Alperia. Il clima sul dossier, insomma, si è improvvisamente surriscaldato. E i timori di una “colonizzazione” lombarda sono tornati a farsi sentire negli ambienti della Lega, che sembrava aver sposato la logica industriale del progetto, anche se i malumori non sono mai mancati.  

 

Nicolò Zavarise, assessore leghista del Comune di Verona, socio unico di Agsm, ha detto pochi giorni fa che l’accordo di aggregazione con Aim (Vicenza) è valido, ma non serve un partner industriale in questo momento. E se proprio ci sarà necessità si dovrà cercare il migliore per procedere in questo senso, ma non subito. Così il sindaco di Verona, Federico Sboarina (eletto nella coalizione di centrodestra, in cui c’è anche la Lega, e finora favorevole all’aggregazione) non ha potuto far altro che avallare il nuovo sondaggio che dovrebbe fare arrivare varie proposte sul suo tavolo nelle prossime settimane. Il passo successivo è la verifica delle offerte alternative: se una di queste fosse considerata valutabile i tempi si allungherebbero, altrimenti i cda di Agsm e Aim dovrebbero riunirsi entro fine mese per approvare l’operazione con A2A, come stabilito dalle intese preliminari. Nelle prossime due settimane, dunque, tutto potrebbe essere messo in discussione, ma c’è chi resta convinto che l’unico modo per mettere d’accordo Agsm e Aim – entrambe con l’ambizione di preservare un rapporto esclusivo con i territori in cui operano pur avendo dimensioni molto diverse (la prima ha ricavi per 1 miliardo di euro, la seconda per 200 milioni circa) – sia quella di costruire una governance in cui un socio di minoranza forte possa fare da contrappeso. Ma perché proprio A2A se all’orizzonte ci sono altri operatori disponibili a svolgere lo stesso ruolo? 

 

Si vedrà, intanto andrebbe ricordato che la multiutility lombarda era stata scelta da Roland Berger soprattutto per la capacità di aggregare realtà locali valorizzandone la gestione e la disponibilità a conferire nella nuova società (il cui nome è Munven, Municipalizzata del Veneto) alcuni asset tra i quali attività di smaltimento e incenerimento rifiuti che tra le province di Verona e Vicenza sono molto carenti. Per arrivare a questo punto c’è voluto più di un anno di trattative con tutte le rassicurazioni che i vecchi vertici di A2A erano riusciti a dare sulla neutralità “politica” dell’operazione che avrebbe lasciato inalterata la “sovranità” e l’autonomia di Agsm e Aim in territorio veneto. L’azione diplomatica di A2A è stata volta soprattutto a far comprendere il suo modello di business, a spiegare che non si muove come un predatore ma come un aggregatore che è arrivato a generare 7 miliardi di ricavi anche grazie all’apporto di piccoli operatori dell’area lombarda che nel frattempo sono diventati più competitivi e capaci di generare profitti e investimenti. Tutto questo, evidentemente, non è bastato a fugare nei veneti il sospetto che una volta entrato come socio di minoranza A2A potrebbe voler ribaltare la sua posizione alla prima circostanza favorevole grazie alla sua superiorità finanziaria. E non è bastato a convincere neanche il Pd che a Verona è all’opposizione e ha chiesto che venisse attivata una gara pubblica per scegliere il socio-partner di Munven (ipotesi per ora scartata essendo prevalsa l’idea del sondaggio di mercato).

 

Il paradosso è che l’orientamento politico, di centrosinistra, che negli ultimi anni ha guidato la scelta dei vertici di A2A, non è stato tenuto in conto dai dem veronesi. E così A2A corre il rischio di uscire di scena anche a causa del “fuoco amico”. C’è da dire che il rinnovo delle cariche nella multiutility milanese, caduto in un momento cruciale dell’iter, non ha aiutato. Un certo provincialismo italico e guerre di campanili necessitano di continuità di rapporti e alleanze trasversali solide. Ma non tutto è perduto. La Lega sa che opponendosi al deal con A2A rischia di bloccare il risiko delle utilities in Veneto capace di coinvolgere anche altri operatori locali come Ascopiave. Perciò i nuovi vertici di A2A devono giocare adesso le proprie carte: Patuano ha esperienza del territorio veneto in quanto ex amministratore delegato della Edizione Holding della famiglia Benetton e il bresciano Mazzoncini non è proprio uno sconosciuto sull’asse lombardo-veneto.

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