Il nuovo mall coreano costruito da OMA © Hong Sung Jun, courtesy of OMA

Ci salveranno i centri commerciali

Michele Masneri

Modello coreano più archistar, che cosa succede a sud di Seul

Ah, Il modello sudcoreano. Il modello sudcoreano è, come si sa, quello tifato da tutti i più sofisticati; nelle conversazioni di questi giorni c’è sempre quello intelligente, quello che dice “scusate, un altro gruppo Whatsapp no”, quello che legge tutto e sa tutto, e potete scommetterci che è fan del modello coreano (poi c’è il cinico che tifa invece per il Boris Johnson prima maniera, il provocatore che plaude ai medici cubani, eccetera). Il modello coreano, si diceva, comporta non solo test a tappeto ma anche tamponi per tutti, niente lockdown, uffici e fabbriche aperte, uso di tecnologia rivoluzionaria per tracciare tutti con garbo. Il modello sudcoreano così cool prevede però anche che, risolta velocemente l’emergenza, si inaugurino primari building di archistar globali in città nuove di zecca. Mentre i musei in tutto il mondo sospendono attività e mostre e si buttano sugli intrattenimenti online, a Gwanggyo, una delle tante new town attorno alla capitale Seul, è stata appena completata la sede del grande magazzino “Galleria”, che non dirà molto a nessuno, e però il design è dello studio OMA cioè il solito Rem Koolhaas architetto pradesco. Il mall è insieme brutalista e giocoso, con pareti di cemento armato dall’effetto pixelato inframmezzate da finestrature che paiono muffe da parete o fuoriuscite di farciture per torte molto giocose. Il tutto sembra una statuona di Niki de Saint Phalle, con effetto assai giocoso, e quest’immagine appare simmetrica a quella mortifera della vecchia Europa coi tank russi in sfilata; e aprire mega cattedrali artistiche di largo consumo sembra anche un gran manifesto contro tutti i neo-millenaristi che ci stanno ricordando quanto eran belli “i vecchi valori”, e i vecchi consumi: no grazie, noi vogliamo andare al centro commerciale (anche non di archistar).