"Putney Winter Heart", 1971-1972 © Yves Bresson Musée d'art moderne et contemporain de Saint-Étienne

Essere Jim Dine

Michele Masneri

Al Palazzo delle Esposizioni grande retrospettiva sull’artista pop

Happening e Pinocchi, poesie, pale da giardino, cuori di paglia. Jim Dine è vivo e sta benissimo (questa generazione scatenata degli anni Sessanta è sopravvissuta alla grande a tutte le contestazioni e manifestazioni e trasgressioni. Pure Jasper Johns è vivo e vegeto e Claes Oldenburg anche. Gli allegri novantenni della Pop Art sono venerati come non avrebbero mai immaginato, probabilmente). Al romano Palazzo delle Esposizioni ecco dunque una enorme retrospettiva, dai piccoli acquerelli su tela degli anni Cinquanta alle tele più scatenate. Dine da sempre ha usato tutto, pittura, scultura, poesia, e poi i celebrati happening. Come il Jim Dine Vaudeville Show in quattro atti, con l’artista giovinetto che entra in scena avvolto nell’ovatta e se la strappavo di dosso spargendola tutt’intorno. Nel secondo atto comparivano delle verdure che si muovevano al ritmo di musica, “le muovevamo io e mia moglie da dietro le quinte con delle corde. Per il finale, avevo ritagliato due figure di donne, una per ogni braccio. Ognuna aveva un braccio che sporgeva, mentre dietro c’era il mio braccio. Io ballavo e le donne nude ballavano con me. Ballavo per un po’ e finiva così. Questo è stato l’ultimo evento della stagione, si avvertiva la primavera ed era un tempo molto felice”, ricorda Dine. In Car Crash, altra celebre performance, “mi venne l’idea perché l’estate precedente avevo avuto due incidenti d’auto. Ma c’erano anche delle connotazioni sessuali. Non posso andare troppo a fondo nella mia analisi di quell’opera, ma credetemi, c’erano. In questa performance erano coinvolte quattro persone, un uomo e una donna, e poi la moglie di Oldenburg, Patty Muschinski. Io recitavo nel ruolo dell’automobile. Ero una macchina grande e argentata”. Sembra la versione di Barney, che invidia, che vita.

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