Beverly Pepper con Michelangelo Antonioni

La bella di Todi

Michele Masneri

In morte di Beverly Pepper (1922-2020). Da Brooklyn alla “Dolce Vita”. E poi l’Umbria, e il parco di sculture appena inaugurato. I ricordi del figlio John

È morta il 5 febbraio Beverly Pepper, leggenda da camera dell’arte internazionale e americana inquieta da imitazione. Nata Beverly Stoll nel 1922 a New York, era una celebrità in quella cerchia di “land artist” dalle grandi espressioni metalliche o paesaggistiche. Da decenni viveva a Todi, dove recentemente era stato aperto al pubblico un suo parco di sculture. Aveva soprattutto una storia fantastica. Figlia di un pellicciaio di Brooklyn, si parte da un’infanzia da Philip Roth. Racconta il figlio John Pepper al Foglio: “Una volta, già grande, conobbi finalmente questo nonno pellicciaio: vado, lui mi fa molte feste e mi dice che mi vuol dare un bel cappotto di pelliccia, io tutto contento mi sottopongo a varie prove. Alla fine il nonno mi dice: bene, sono 890 dollari”. Il nonno pellicciaio era stato un padre severo: “A otto anni mia madre ruba una matita e lui la corca di botte, e poi la riporta al negozio urlando: ‘Questa figlia mia è una ladra’”. Qui siamo in Malamud. “Se fossimo in Italia saremmo tra Moravia e De Filippo”, dice John Pepper.

 

La famiglia è preoccupata di questa figlia ruba-matite, che vuole fare l’artista e rimarrà dunque povera, ma viene subito smentita. A 19 anni Beverly Pepper è infatti già art director della Decca, la casa discografica. “A ventiquattro è capo di una grande agenzia pubblicitaria di Madison Avenue. Responsabile di tutta la campagna del profumo Coty, avevano la casa invasa dei profumi di Coty”. “Nel 1944 guadagnava ventimila dollari l’anno, un’enormità per l’epoca”, dice Pepper (qui siamo chiaramente in Mad Men). Poi decide di cambiare tutto e si imbarca (proprio in nave) per Parigi, per studiare con Fernand Léger. Vuole dipingere. A Roma le fanno la sua prima mostra alla Galleria dello Zodiaco. Non se ne andrà naturalmente mai più. È la Roma del Dopoguerra, epicentro di speranze ed energie di expat americani. “C’era una gran voglia di vivere, era finita la guerra, per loro c’era un futuro”, ricorda Pepper. All’Hotel d’Inghilterra incontra quello che sarà poi suo marito, Curtis Bill Pepper, già in forze al controspionaggio dell’Air Force; i due diventano una coppia leggendaria, lui corrispondente dal sud Europa di Newsweek dall’ufficio di Roma, “amico intimo di cinque Papi”. L’incontro: “Lui vede questa gnoccona al bar e le offre da bere e la invita a cena. Lei dice che ha già un impegno, e va alla cabina telefonica del bar, che oggi naturalmente non c’è più, e fa finta di telefonare e parla per una decina di minuti con sé stessa per disdire il suo falso appuntamento. Escono a cena ma lui, eravamo in fondo negli anni Quaranta, la riaccompagna in hotel. Si danno appuntamento il giorno dopo, lui arriva in ritardo, lei gli tira una secchiata d’acqua in testa”. (Qui siamo in Mordecai Richler). I due si ameranno tutta la vita, Bill Pepper carico di onori e libri scritti è morto sei anni fa anche lui quasi centenario. Ma prima: casa loro a Monte Mario diventa il centro della Dolce Vita cosiddetta. Era quel momento storico in cui l’arte americana si fonde col cinema, mentre si fa Hollywood sul Tevere, ma non ci sono solo i peplum e Liz Taylor che caracolla a via Veneto: ci sono gli intellettuali e gli artisti. Gore Vidal scrive sceneggiature sui tetti di largo Argentina, Cy Twombly sposa una baronessa Franchetti. “Certo, da casa passava Kirk Douglas, uno storico flirt di mia madre, ed è curioso che siano morti lo stesso giorno. Ma ‘la Dolce vita non era poi così dolce’, era solita dire mia madre”, ricorda ancora Pepper.

 

“È vero, la domenica a casa arrivavano Fellini e Antonioni e Maselli, ma era una cosa molto semplice. Erano tutti poveri. Mia madre cucinava spaghetti meatballs e ragù per tutti. Era del resto una cuoca provetta, una dote che la aiuterà: pubblicherà infatti cinque libri di cucina molto famosi all’epoca, che aiutavano a mantenere la famiglia (tra cui un “See Rome and eat”)”. “Non avevano una lira, all’epoca. La casa di Monte Mario era campagna completa, prima che costruissero l’Hilton. Mio padre aveva trovato questo barbiere, Rocco, che veniva e ci tagliava gratis i capelli. In cambio trovava tutta questa gente, attori, registi, scrittori, e così aveva la possibilità di farsi nuovi clienti” (oltre a John, regista e fotografo che vive tra New York e Palermo, i Pepper producono un’altra figlia, Jorie, poetessa premio Pulitzer).

 

Beverly Pepper a un certo punto intanto aveva deciso di diventare scultrice, anzi “scultore”, come amava essere chiamata, dopo un viaggio al tempio di Angkor Wat in Cambogia, perché dipingere non le sembrava sufficiente a rappresentare la realtà. Il primo incarico importante ce l’ha a un Festival dei Due Mondi di Spoleto a cui viene chiamata insieme ad Alexander Calder e Arnaldo Pomodoro in un progetto che vuole ogni artista cimentarsi con una fabbrica dell’Italsider. Lei viene spedita a Piombino, ed è una seconda illuminazione dopo la Cambogia: “Per una ragazza trovarsi in fabbrica fu straordinario. La svolta della mia vita. Fu come una nascita. Il mondo mi si aprì”, ha detto in un’intervista. “Panini al prosciutto e niente bagni per le donne”. Scopre le possibilità dell’acciaio e il maschilismo, e di lì in poi farà parte integrante di quella schiera di artisti che disseminano il globo di enormi sculture metalliche e spianate. Unica donna però tra i vari Serra e Sol Lewitt, ed essere l’unica donna in ogni campo pare il suo destino. La madre di Brooklyn le dice: “Sei finita in fonderia, una cosa da uomini”. Storia della sua vita. “Recentemente, stava già male. Le ho detto, mamma, se vuoi vengo su a darti una mano”, racconta ancora il figlio. “La sua risposta: ‘Fuck you’. Io sono rimasto un po' perplesso, ma Leonard Lauder, che era lì con noi, poi mi ha spiegato: vedi, mia madre e la tua sono due donne ebree nate agli inizi del secolo, donne povere per cui la prospettiva più esaltante sarebbe stata di fare le stenografe. Invece hanno costruito due imperi, due mondi. Due mondi che hanno creato seguendo le loro regole”. Insomma, chiederle di recitare la parte della fragile nonnina non era pensabile (l’altro impero era quello dei cosmetici Estée Lauder).

 

Con la scelta di vivere a Todi, eccentrica negli anni Settanta (poi imitata da altri artisti come Piero D’Orazio e Alighiero Boetti e da tanti americani, finché la zona fu soprannominata “Beverly Hills”), si mise un po’ in disparte rispetto alla scena internazionale, anche se fino agli anni Novanta continuava ad andare avanti con New York. Il 2019 però era stato un anno di grandi riconoscimenti; aveva avuto due mostre, una a Los Angeles e una a New York. Alla Biennale di Venezia le sue celebri “Todi columns”, le colonne metalliche create per la piazza di Todi e che oggi campeggiano anche nel parco “Beverly Pepper Sculpture Park” che ha fatto in tempo a veder aprire. Gli ultimi giorni sono stati molto dolorosi, dice il figlio, “ma è morta come ha vissuto, con le sue regole”. La figlia Jorie, qualche tempo fa di passaggio da Roma, aveva chiesto una buona stanza all’hotel d’Inghilterra, e lì il vecchio concierge, gentile, le aveva detto: “Farò di meglio, le darò quella in cui lei è stata concepita”.

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