(foto LaPresse)

Vogliamo approfittare della tonnara di Palamara per riformare almeno il rito televisivo?

Guido Vitiello

Lancio una campagna: pretendiamo Caiazza in ogni talk-show dove è ospite un pm

Giovedì, a “Piazzapulita”, l’avvocato Caiazza ha ricordato a Davigo che i pubblici ministeri non arrivano neppure al venti per cento del totale dei magistrati, eppure hanno saldamente in pugno il novantacinque per cento della rappresentanza politica della categoria. Ora, non ho fatto rilevazioni precise, ma a occhio direi che occupano anche il novantanove per cento della rappresentanza televisiva; e si badi, la percentuale non va calcolata sul numero dei magistrati, ma sulla totalità degli abitanti dell’universo giudiziario. In altre parole, giustizia in tv è sinonimo di pubblica accusa. L’uno per cento residuo è spartito tra giudici, pm in pensione o in aspettativa e avvocati, alcuni dei quali più realisti del re o più giustizialisti del giustiziere. E tutto questo senza contare il gran numero di giornalisti indistinguibili a occhio nudo dai pubblici ministeri, altrimenti arriveremmo tranquillamente al centosettanta per cento. Ebbene, posto che non mi faccio illusioni sulla grande riforma della giustizia e neppure sulla piccola riforma del Csm; posto che so bene che quando sarò vecchio la fissione a freddo sarà un gioco da ragazzi ma nessuno sarà ancora riuscito a scindere le carriere, e magari potrò fare odissee nello spazio ma l’obbligatorietà si ergerà ancora come un monolite tra i selvaggi; posto tutto questo, mi dico, vogliamo approfittare della tonnara di Palamara per riformare almeno il rito televisivo? Lancio una campagna: pretendiamo Caiazza in ogni talk-show dove è ospite un pm.

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